Cocco Drillo, A. Vocetta e i pesci ballerini – Alberto Moravia

Cocco Drillo, da bambino, se la cavava proprio bene. La mamma l’aveva abituato a imboccarlo con un grande cucchiaio pieno di pesci squisiti di ogni specie: una cucchiaiata la mattina per la prima colazione; una cucchiaiata a mezzo giorno per il pranzo; una cucchiaiata la sera per la cena. A Pasqua, Natale e Capodanno, sei cucchiaiate complessive in luogo di tre. La mamma, però, gli diceva spesso: “Cocco mio, un giorno non ci sarò più, come farai?” Ma Cocco Drillo non se ne dava per inteso.

Un giorno la mamma non ci fu più. Cocco Drillo si mise, al solito, in una spiaggetta solitaria, immobile, con la bocca aperta: niente cucchiaiate.

Passò un giorno, ne passò un altro e pur sempre niente cucchiaiate.

Cocco Drillo cominciò a preoccuparsi. Spalancò più che poteva la bocca e chiamò disperato: “Mamma, mamma, mamma, dove sei mamma?” Allora sentì una vocina lì accanto che gli diceva: “Povero Cocco, non lo sai che di mamma ce n’è una sola? La tua mamma non c’è più.” Cocco Drillo si voltò e vide una certa A. Vocetta, che zampettava lì accanto, beccando schifiltosa tra i papiri. Era lei che aveva parlato. E, infatti, aggiunse dopo un momento: “Spicciati a trovare una soluzione perché io vivo dei resti di cibo che ti rimangono tra i denti. Se non mangi tu, non mangio neppure io.” Cocco Drillo domandò: “Cosa debbo fare?” A. Vocetta rispose: “Pensa.” “E che dovrei pensare?” “Pensa.”

Cocco Drillo seguì il consiglio di A. Vocetta: si mise a pensare. E pensa che ti ripensa, pensò una cosa che non aveva mai pensato.

Bisogna sapere che Cocco Drillo aveva una bocca immensa, anzi si può dire che fosse quasi tutto bocca. Nella bocca aveva tantissimi denti e una lingua lunghissima, liscia, morbida, simile ad un pavimento ricoperto da un soffice tappeto.

Allora Cocco Drillo disse ad A. Vocetta: “Senti, caro, va ad avvertire, tutti i pesci della zona che ho deciso di aprire un locale da ballo, cioè una balera. Luogo: la mia bocca. Seggiole e tavoli: i miei denti. Pedana per le danze: la mia lingua. L’orchestra la sistemeremo sulla punta della lingua. Vola, spicciati, va ad avvertire i pesci che stasera stessa ci sarà l’inaugurazione con una serata di gala e doni di valore per le signore.”

A. Vocetta non se lo fece dire due volte. Volò sul fiume, che era poi il Nilo, e fece la sua brava pubblicità, ripetendo a perdifiato: “Stasera grande serata danzante nella bocca di Cocco Drillo. Ingresso libero. Si balla fino a mezzanotte.”

I pesci, figurarsi, si annoiano, poveretti, in fondo al fiume. Nient’altro da fare tutto il giorno se non gironzolare tra le alghe e farsi le boccacce l’uno all’altro. Così decisero di convenire in massa nella nuova balera di Cocco Drillo, all’insegna del “Pesce d’oro”.

Venne la sera. L’orchestra composta da cinque ranocchie con chitarra, batteria e saxofono suonava a perdifiato, tenendosi in bilico sulla punta della lingua di Cocco Drillo. I pesci uscirono in processione dall’acqua, si inerpicarono su per una scaletta e si inoltrarono nella bocca di Cocco Drillo. Ai loro occhi apparve una lunghissima sala, gaiamente decorata di lanterne di carta rossa. In fondo alla sala c’era una striscia di tela su cui si leggeva: “Buon divertimento!” I pesci sedettero sui denti di Cocco Drillo, ordinarono dei rinfreschi, cominciarono a ballare. Avete mai visto un pesce che balla?

Beh, allora immaginate cosa possa essere vederne cento che danzano tutti insieme.

Intanto Cocco Drillo stava fermo, con la bocca spalancata, gli occhi socchiusi. Aspettava.

Le danze seguivano alle danze e Cocco Drillo aspettava. Aveva deciso di annunziare a mezzanotte in punto: “Signori si chiude.” Nello stesso momento avrebbe chiuso davvero quella sua bocca smisurata e avrebbe fatto una bella scorpacciata di pesci prelibati, freschissimi, anzi vivi.

Ora tra i pesci c’era un certo Sto Rione che era molto ma molto intelligente.

Tra un ballo e l’altro, gironzolando per la balera, Sto Rione notò che dalla parte superiore della bocca di Cocco Drillo, incurvata come una volta, piovevano giù grosse gocce d’acqua. Queste gocce si formavano come da sole e cadevano giù appena si erano formate. In realtà. Cocco Drillo aveva l’acquolina in bocca perché pregustava il momento in cui si sarebbe mangiato tutti quei pesci di ottima qualità.

Sto Rione, impensierito, andò da A. Vocetta e gli comunicò la sua scoperta: cosa potevano essere quelle gocce? Ora A. Vocetta era una di quelle persone che sono incapaci di tenersi un segreto, anche a costo di danneggiare se stesse. Tentò di spiegare: “Sai, siamo su un fiume, c’è molta umidità”; ma Sto Rione disse subito: “A. Vocetta tu ci hai già le gambe lunghe. Sta’ attento che non ti diventino dei trampoli dicendo tante bugie.” Allora A. Vocetta, che quasi scoppiava dalla voglia di spifferare ogni cosa, disse la verità. Sto Rione capì che non c’era tempo da perdere. Si gettò nel fiume, prese in bocca un enorme sasso rotondo e andò a sistemarlo in fondo alla bocca di Cocco Drillo, tra un dente di sopra e un dente di sotto, come una noce che si vorrebbe schiacciare. Quindi, soddisfatto, andò ad invitare per una samba una certa Car Pa a cui faceva la corte da molto tempo e ballò con lei.

Arriva la mezzanotte, Cocco Drillo spalanca gli occhi, urla con il vocione cavernoso: “Signori, si chiude.” E nello stesso tempo fa per chiudere la bocca e così mangiarsi quei venti o trenta chili di pesci che stavano ancora dandosi il buon tempo sulla sua lingua. Ma: krak! I due denti si strinsero sul sasso di Sto Rione ma non riuscirono a stritolarlo. La bocca rimase aperta. E Cocco Drillo provò un dolore acuto, lancinante, terribile.

Intanto i pesci, a quel vocione che annunziava la chiusura, se ne andavano alla chetichella. Alcuni, però, si lamentavano: “Che maniere. Si stava così bene!”

La mattina dopo, naturalmente, Sto Rione raccontò ogni cosa ai pesci, i quali, da quel giorno, si guardarono bene dal tornare alla balera di Cocco Drillo.

Cocco Drillo da allora, con grandissimo sforzo, ogni tanto rotola nel Nilo e va alla ricerca di qualche cosa da mangiare. Poca roba, però, perché i pesci lo evitano da lontano. Soltanto le anguille che sono anche loro molto pigre, non si muovono a tempo, e Cocco Drillo se le risucchia come se fossero spaghetti.

Il resto del tempo, Cocco Drillo sta disteso sulla sabbia e, pensando al pranzo sfumato, piange lagrime amare. Appunto, lagrime di coccodrillo.

A. Vocetta gli tiene compagnia e gli domanda ogni tanto: “Che hai, perché piangi?”

Cocco Drillo risponde: “Piango perché su quei pesci proprio ci contavo. Ma si può sapere chi ha fatto la spia?”

E A. Vocetta, candido: “Nessuno ha fatto la spia. Quel sasso te l’eri preso in bocca per succhiartelo in attesa della pappata. E poi te lo sei dimenticato.”

Tratto dal libro Storie della preistoria

In Storie della preistoria, superando gli schemi e la morale talvolta spietata della favolistica classica, Alberto Moravia narra le avventure e le disavventure di una grande folla di animali umanizzati. O meglio: di uomini che si nascondono dietro una maschera animalesca. Come sempre accade sul palcoscenico della favola, il debole si mescola ai forti, l’ingenuo agli astuti, il buono ai cattivi. Qui però la verità non ha le tinte fosche della tragedia o i toni grotteschi della farsa perché Moravia non rinuncia mai alla speranza: così il lettore impara divertendosi, senza rabbrividire di paura e di sgomento. Le sue storie sono a tratti esilaranti, adatte tanto al lettore bambino quanto a quello adulto.

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