«Annuntio vobis gaudium magnum: habemus gattinum!» (Vi annunzio una grande gioia: abbiamo un gattino!).
Così esclamò scherzosamente padre Cesarino ai suoi catechisti quando vide sul muretto del giardino della sua chiesetta, quasi nascosto dalle foglie di un rampicante, un gattino grigio e bianco di pochi mesi: non aveva mai visto un gattino così bello, così dolce, così tenero.
Il povero gattino era solo, era stato abbandonato dai suoi padroni ed era molto, molto affamato: e allora miagolò “Miaum, miaum” perché voleva il latte.
Padre Cesarino, un po’ sorpreso e confuso, chiamò i suoi nipotini stranieri, Emeline e Tanguy, Anatole e Octave, che erano in visita da lui, e insieme presero un grande piatto di plastica bianca, lo riempirono con molto latte e lo poggiarono a terra: pensavano di accarezzare il gattino quando questi si fosse avvicinato al latte.
Ma il gattino aveva tanta paura e non si muoveva: allora padre Cesarino e i suoi nipotini si allontanarono e così videro il gattino che andava a prendere con voracità il latte.
Mentre lo guardava, padre Cesarino pensava al romanzo Oliver Twist che parlava di un orfano abbandonato e allora, volendo dare un nome al gattino abbandonato e non ricordando bene il nome Oliver, si confuse e lo chiamò Osvaldino.
Da allora il gattino Osvaldino restò a vivere sul muretto e, quando voleva mangiare, si metteva a miagolare: “Miaum, Miaum”.
A cura di Renata Carmela Grimaldi per Aracne Editore