Crash – Il migliore amico di Penn Webb

John, detto Crash, è un ragazzino vivace, sportivo, in gamba, popolare nella classe, uno che apparentemente “ha la stoffa” per essere leader. Con il suo amico Mike, Crash si rende però anche protagonista di episodi di prevaricazione e arroganza nei confronti di chi – per esempio – è mite e non competitivo, di chi è semplicemente diverso, come Penn Webb. Fino a quando un giorno scopre qualcosa che non sapeva su Penn.

13 settembre

Primo giorno di allenamento. Non vedevo l’ora di mettermi i parastinchi. Ma la priorità assoluta l’ha avuta Webb.

Ieri Mike mi ha detto:

– Ti pare possibile che andiamo alla stessa scuola da tutto questo tempo e non gli abbiamo ancora fatto uno scherzo?

Ho annuito.

– È vero. Pazzesco
– Vergognoso.
– Dobbiamo subito
– Prima che cominci a illudersi di essere al sicuro.
– Domani.

In prima media, avevamo tormentato Webb tutto l’anno. Piccoli scherzi, come mettergli in disordine l’armadietto, i vestiti, i libri. O fargli sparire qualcosa che poi riappariva misteriosamente il giorno dopo o la settimana successiva. A volte Webb girava per i corridoi senza capire perché tutti quelli che lo superavano gli dessero un pizzicotto; poi scopriva di avere appiccicato alla schiena un foglio con scritto: DATEMI UN PIZZICOTTO.

È proprio scemo. Non capisce mai chi è stato a fargli lo scherzo. E infatti con noi due non se l’è mai presa. A dirla tutta, non se la prende mai con nessuno. Idiota.

E così ieri abbiamo preparato il piano e oggi l’abbiamo messo in atto.

All’ultima ora: geografia.

Mike ha portato a scuola della senape, in una di quelle bottigliette di plastica che si schiacciano. Prima dell’inizio dell’ora, me l’ha passata di nascosto. Io ero seduto nel banco dietro quello di Webb.

L’idiota è arrivato con un distintivo nuovo: ABBRACCIA UN ALBERO. Mike gli è andato subito incontro.

– Come va, Chiodo? Che si dice?

Gli ha dato una stretta di mano amichevole, per metterlo a suo agio. Perché era così che lo voleva: tranquillo, rilassato. Abbiamo notato che quest’anno Webb ha un nuovo passatempo: spesso, in classe, fa come se fosse a casa sua e si leva le scarpe.

Non abbiamo dovuto aspettare molto. Passati dieci minuti dall’inizio dell’ora, ecco che Webb si leva la scarpa destra. Mike annuisce. Io tiro fuori la bottiglietta, la scuoto, mi chino sotto il banco e sparo mezzo litro di senape dentro la calzatura.

Prima ancora di rialzarmi, ecco che il deficiente si toglie anche la scarpa sinistra. Sprot, sprot, vado giù pesante, come se dovessi ricoprire un hot dog gigantesco.

Da quel momento in poi, mi chino sotto il banco ogni due minuti: sprot, sprot.

Tra un colpo e l’altro, mi sembra di capire che l’argomento di oggi sia l’erosione. Sono riuscito persino a captare qualche parola della prof, che parlava dei venti nel North Dakota.

Ho sparato senape dentro le scarpe di Webb finché la bocca della mia arma da fuoco non ha cominciato a sputacchiare bollicine gialle. Allora ho svitato il tappo e, usando la matita dalla parte opposta alla punta, ho grattato il fondo della bottiglietta per dipingere di senape le linguette e i lacci delle scarpe.

L’ora era quasi finita. Mike e io abbiamo osservato attentamente i piedi di Webb cercare a tastoni le scarpe. Non appena le hanno trovate, hanno cominciato a scivolarci dentro, calzini bianchi compresi, ovviamente. Ma dopo un istante si sono fermati. Ed è suonata la campanella.

Mike e io abbiamo fatto appena in tempo a uscire dall’aula prima di scoppiare a ridere a crepapelle. Poi siamo scesi nell’atrio e abbiamo aspettato che arrivasse anche Webb. Era l’ultimo. Camminava come se non fosse successo niente. Piccolo particolare: i calzini bianchi adesso erano gialli, e teneva in mano le scarpe comprate al supermarket.

Se ridere facesse male alla salute, mi avrebbero già ricoverato nel reparto di terapia intensiva.

22 marzo

Oggi a scuola è successa una cosa…

Due settimane fa il prof di inglese ci aveva dato come compito a casa un tema su una persona che conosciamo. In sostanza, dovevamo dire che cosa significa per noi quella persona.

Io ho parlato di Scooter. Ho parlato di come cucina bene, delle storie che ci racconta a letto e del fatto che sia venuto a vedermi a tutte le partite, anche sotto la pioggia.

I temi andavano consegnati oggi. Quando sono entrato in classe, Webb era già arrivato; aveva il distintivo con scritto: PACE. Io mi sono seduto al solito posto.

Non appena Webb si è alzato per andare a parlare con il prof, Mike è schizzato verso il suo banco e ha preso alcuni fogli pinzati insieme. Poi, tornando al proprio posto, li ha appallottolati.

“Il tema di Webb” ho pensato io.

Quando Webb è tornato a sedersi, ha notato subito che mancava qualcosa e ha cominciato a guardarsi attorno freneticamente, sotto il banco, fra i libri.

Tutta la classe rideva sotto i baffi. All’improvviso, mentre Webb gli dava le spalle, Mike si è voltato e mi ha lanciato la palla di carta. In vita mia, non ho mai lasciato cadere una palla in volo. E così è andata anche questa volta.

Al suono della campanella tutti si sono seduti ai loro posti ed è cominciata la lezione.

Il prof non ha ritirato subito i temi, e più passava il

tempo, più ero curioso di leggere cosa aveva scritto Webb. A un certo punto ho preso il suo tema, l’ho steso sul banco e, facendomi scudo con un libro, mi sono messo a leggere:

Una delle persone che contano di più per me è il mio bisnonno, Henry Wilhide Webb III. Per me è molto più di un parente; mi ritengo davvero fortunato ad avere un bisnonno così. Ha 93 anni, ed è difficile credere che una persona che ha 80 anni più di me sia in grado di capirmi, eppure lui ci riesce. È il mio miglior amico.

È stato Henry Wilhide Webb III a scegliere il mio nome. Nel 1919, prese parte alle famose Penn Relays, gareggiando con la squadra di atletica della propria scuola. Qualche tempo dopo, si trasferì a ovest, nello Stato del North Dakota, dove si costruì una casa e una famiglia. Ma non dimenticò mai quella giornata alle Penn Relays. Alla mia nascita, mamma gli disse che poteva sceglierlo lui, il nome del primo pronipote. E lui scelse Penn.

Che sarei io.

Sette anni fa, i miei genitori e io ci siamo trasferiti qui in Pennsylvania. Da allora l’ho rivisto solo una volta. Mi manca moltissimo. Mi mancano soprattutto le sue storie dei tempi andati. A volte mi mette tristezza, quando dice che si sente scomparire come la prateria. Il mio bisnonno verrà a trovarci in aprile e si fermerà due settimane. Ha scelto aprile perché è il mese in cui si svolgono le Penn Relays. Dice che vuole vederle un’ultima volta. Non credo sappia che adesso anche le scuole medie e perfino le elementari possono partecipare alle gare.

Sono sicuro che il più bel regalo che io possa fare al mio bisnonno è entrare nella squadra che parteciperà alla gara, in modo che lui possa vedermi. Per questo, da un po’ di tempo in qua, mi alleno tutte le sere.

Il prof ha cominciato a ritirare i temi e io ho consegnato il mio. Al suono della campanella, la classe si è alzata e Webb ha lanciato un ultimo sguardo intorno al banco. Mentre tutti si dirigevano verso la porta, Webb si è diretto verso il prof. L’ho intercettato e gli ho infilato in mano il suo tema.

Tieni. L’ho trovato in giro. È un po’ spiegazzato, ma intero.

Mentre uscivo dall’aula, Webb è rimasto a guardarmi a bocca aperta, con i suoi occhi da pesce lesso.

Le selezioni per la squadra di atletica si svolgeranno domani.

Testo tratto da: Crash, di Jerry Spinelli

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