Lupo Lupone e Lupa Lupessa

C’era una volta e una volta non c’era
un bosco grande in una grande sera,
sera d’autunno, quando l’estate è finita:
per le creature del bosco si fa più dura la vita.
Tacciono i grilli, si cheta la cicala
e ogni rumore a poco a poco cala,
ghiri e scoiattoli si apprestano a dormire
ogni bestia la tana si affretta a rifornire.
Chiurla il chiurlo sul ramo, picchia il picchio sul tronco,
scende presto la nebbia, ogni suono è più cionco.
Lo senti il vento che soffia al tramonto?
Dietro l’autunno l’inverno è già pronto!

In una sera come questa che vi ho detto, mentre il sole non era ancora tramonatato, Alice e Lorenzo raccoglievano castagne attorno alla casa dei nonni. Erano abituati a farlo in quella stagione, ogni domenica che andavano a trovarli, fin da quando erano molto piccoli e i nonni li aiutavano a cercare. La casa di montagna era circondata da grandi castagni che in autunno stendevano attorno tappeti di foglie secche: Alice e Lorenzo si divertivano a farle crepitare, schiacciandole forte con gli scarponcini perché facessero quell’allegro rumore; e si divertivano intanto a spiare tra le foglie i ricci puntuti che lasciavano apparire da una fessura sottile le belle castagne lucide e scure.

Ormai Lorenzo, che già andava a scuola, non aveva più bisogno del nonno per saper riconoscere quando le castagne erano pronte da mangiare, belle scure e rotonde, e sapeva già insegnare ad Alice, che ancora andava all’asilo, ma era svelta e furba.

Quando ebbero le loro ceste belle piene (che facevano, a scuoterle, un rumore di palline di legno), Lorenzo vide che il sole non era ancora tramontato, e allora gli saltò fuori un’idea che rimuginava da tanto tempo. “Alice -disse alla sorella- se vieni con me ti faccio vedere dove abita il lupo”. “Vengo, vengo” fece lei tutta eccitata e per niente spaventata. “E’ qui vicino -disse Lorenzo- andiamo e torniamo prima che il sole sarà tramontato”.

Si accostò zitto zitto al davanzale della finestra aperta e vide che il nonno si era addormentato sulla poltrona davanti alla televisione: russava un poco piano e un poco forte e non si svegliava, nonostante che il loro fratellino più piccolo, seduto sul tappeto accanto a lui, suonasse a turno la trombetta, il tamburo, i piattini e tanti altri strumentini che la nonna gli aveva messo lì per farlo star buono e giocare.

“Gigino, svegli il nonno!” si affacciava a dire la nonna dalla cucina; ma poi tornava a rigovernare e anche lei faceva il suo bel rumore di acqua e di stoviglie; tanto il nonno, quando dormiva,  dormiva!

“E’ il momento buono” disse Lorenzo ad Alice, la prese per mano e si misero a correre. Correvano così forte, per far presto, che ogni tanto dalla cestina cadeva qualche castagna, ma faceva un rumore piccolo piccolo sul sentiero di foglie, un “toc” che si sentiva appena; e comunque non avevano tempo di fermarsi a raccoglierle perché il sole scendeva sempre più giù, sempre più vicino alla linea delle montagne. “Eccola!” fece Lorenzo all’improvviso indicando alla sorella una casa piccina.

“Ma quella è una casa di uomini! -disse Alice che non era mica una scema- Mi vuoi imbrogliare?! I lupi abitano nelle tane!”

“Questi lupi no!” disse sicuro Lorenzo” “Me l’ha detto il nonno che abitano lì. Ti ricordi quel dito del nonno che gli manca un pezzo? Beh, gliel’hanno mangiato Lupo Lupone e Lupa Lupessa che abitano là dentro”.

Alice quasi quasi ci credeva, quando si ricordò una cosa: “La nonna ha detto che il pezzo di dito gli è saltato con un colpo di fucile al nonno, mentre andava a caccia di lepri!”

“Ma che lepri! Andava a caccia di lupi, il nonno! E ha raccontato alla nonna quella  storia  del fucile per non farla spaventare. Ma a me l’ha detto che gliel’hanno morso proprio là dentro”.

“Tu ti bevi tutte le storie del nonno!” disse Alice, e aggiunse: “La vedi quella insegna di legno che traballa su e giù col vento? Secondo me quella casa è un ristorante, un posto dove si mangia”.

“Ah sì? -fece Lorenzo- vieni più vicino allora, così guardiamo. “Certo che vengo” disse Alice.

Ma avevano fatto appena pochi passi che dovettero fermarsi: un torrente d’acqua scorreva veloce e rumoroso fra loro e la radura davanti alla casina.

“Torniamo indietro -disse Alice- non si può passare!”

“Lo vedo che hai paura” la provocò il fratello, “hai paura di scoprire che in quella casa abitano Lupo Lupone e Lupa Lupessa.”

“Mi farò tante risate, invece, a guardare la tua faccia davanti al cartello del ristorante.”

E così, appena scoprirono un passaggio di assi di legno che attraversava il torrente, ci camminarono sopra svelti svelti perché ognuno voleva fare dispetto al fratello. Un piede dietro l’altro, cigolando cigolando, arrivarono sulla radura asciutti e sani, ma il cestino di Alice si rovesciò sull’erba quando lei fece l’ultimo salto; per non perdere tutte quelle belle castagne si misero insieme a raccoglierle, ma Lorenzo guardò il sole e vide che era troppo vicino all’orizzonte delle montagne, dovevano sbrigarsi! Così ne lasciarono lì un bel mucchio, sull’erba. A dieci passi c’era la porta della casina e già si leggeva bene la scritta sull’insegna di legno: “ALLA TAVERNA DEL LUPO” sillabò Lorenzo per la sorellina che non sapeva leggere; e poi tutto fiero; “che ti dicevo? E’ la casa del lupo!”

“Stupido! A me sembra il nome di un ristorante!” rise Alice; e poi volle sapere: “che c’è scritto lì sulla porta?”

Lorenzo aveva una gran voglia di inventare una cosa sensazionale, che facesse rimanere a bocca aperta la sorella e le togliesse la voglia di fare la spiritosa; ma la sua abitudine a non dire bugie fu più forte e a malincuore sillabò: “CHIUSO PER FERIE”.

“Forse hai ragione tu -ammise- torniamo a casa”. Ma in quel momento il vento leggero che finora era salito dalla vallata zitto zitto , si mise a rumoreggiare e salì più svelto, più svelto, correndo sulla radura e sbatacchiando forte il cartello di legno sulla porta della casina, fino a che, con una spinta potente, spalancò la piccola porta proprio davanti alla faccia dei due fratellini.

“Entrate”, disse una bella voce un poco rauca ma dolce: assomigliava alla voce della nonna. Lorenzo e Alice misero dentro la testa per guardare.

“Volete mangiare qualcosa?” disse la stessa voce calda, profonda, di cui non riuscivano a vedere la faccia nel locale buio.

“Mangiare? -fece Lorenzo- Ma non è chiuso per ferie?”

“A quest’ora è aperto per tutti i bambini che se ne vanno in giro soli dopo il tramonto”.

“Dopo il tramonto? Ma il sole non è ancora tramontato”. Lorenzo guardò fuori dalla porta e vide la palla rossa del sole che proprio in quel momento spariva dietro le montagne. Afferrò la mano di Alice e la tirò per correre fuori, ma la porta… sbam!… con gran rumore si richiuse sulla loro faccia. “Che bei bambini paffutelli!” disse una voce alle loro spalle: assomigliava alla voce del nonno quando aveva il raffreddore e il catarro.

Si voltarono e gli occhi, che ormai si abituavano alla poca luce della stanza, scorsero seduto accanto al caminetto acceso un vecchietto peloso vestito proprio come il nonno, con i pantaloni di fustagno marrone, la camicia a quadri e una giacca di lana; in testa portava ben calzato un cappello con la visiera e i paraorecchie di lana; ai piedi aveva calzettoni da montagna dentro vecchie ciabatte, e alle mani guanti di lana. Li guardava con grande interesse strizzando gli occhi dietro un paio di occhialini piccini.

“Sei tu il lupo?” chiese Lorenzo facendosi coraggio.

Il vecchietto scoppiò in una risata lunga lunga lunga che non finiva più.

Si sentiva nella stanza solo il rumore del catarro che gli faceva su e giù nel petto e il rumore dei ciocchi di legno che scoppiettavano nel camino.

Alice si avvicinò all’orecchio del fratello: “chiedigli di togliersi un guanto” disse piano. “Perché?” Lorenzo non capiva.

“Non ti ricordi la favola del lupo e dei sette capretti?”. Lorenzo fece segno di no. “Bisogna guardare se ha la zampa di lupo”, spiegò Alice senza farsi sentire dal vecchio.

Mentre Lorenzo faceva segno di sì, si avvicinò al vecchio una buffa nonnina vestita tutta di grigio, con una cuffia di lana bianca calata sulla fronte e le orecchie. Doveva essere quella che aveva parlato prima con la voce rauca e dolce; ma ora stava zitta e li guardava attenta, anche lei da dietro gli occhialetti. Alice notò che portava anche lei dei grossi guanti di lana e tirò la manica del fratello perché guardasse; lui guardò infatti e s’insospettì ancora di più; ma come fare a chiedere che si togliessero i guanti? Non ebbero tempo di parlare, comunque, né lui né Alice, perché fu la vecchia a parlare per prima: “che cosa avete in quelle piccole ceste? fateci vedere… c’è roba buona da mangiare?” Questa volta fu Lorenzo che si ricordò di una fiaba che calzava a pennello. Si avvicinò all’orecchio della sorella: “Non sembra la nonna di Cappuccetto Rosso?”.

“Quella vera o quella finta?” volle sapere Alice. “Quella finta, quella finta! Il lupo vestito da nonna!”

“Sì, è pelosa, ma non è tanto brutta -fece Alice- vediamo se spalanca la bocca e le guardiamo i denti, così si capisce subito”.

“Moglie, è ora di cena! -protestò il vecchio- “prepara l’occorrente per i bambini!”

Alice e Lorenzo si guardarono: che volevano dire quelle parole? Che li avrebbero cucinati per mangiarseli a cena? O era soltanto un invito gentile?

“Noi dobbiamo andare a cena a casa nostra” disse Lorenzo. “E chi c’è a casa vostra che vi aspetta?”

Alice guardava il fratello negli occhi e faceva no no con la testa: non dovevano dire niente! Se no, mettevano in pericolo anche i nonni e il fratellino piccolo!

“Tanto con questa pioggia non possono andare” disse il vocione catarroso del vecchio. Quale pioggia?! Se fuori avevano lasciato il sole, poco fa? C’erano solo poche nuvole portate su dal vento veloce che saliva dalla valle… Eppure era proprio rumore di pioggia quello là fuori. I bambini tesero le orecchie e lo riconobbero bene: sulle foglie, sulla terra, sul tetto della casa… E adesso, contro i vetri delle finestre, anche: le goccioline si facevano gocciolone, all’improvviso, e picchiavano rumorose come sassi, come se bucassero i vetri… E sulla loro testa il tetto rumoreggiava come se ci passassero sopra cento animaletti correndo… E il vento non fischiava più come prima: adesso urlava “aiuto!aiuto!aiuto!”.

I fratellini si tenevano la mano e pensavano, tutti e due, se quello era solo il primo temporale d’autunno o se era una magia di Lupo Lupone e Lupa Lupessa per tenerli prigionieri lì. Ma loro erano decisi a scappare anche con quella pioggia: arretrarono verso la porta piano piano, sempre tenendosi per mano.

“Vedrai che ora il nonno viene a prenderci” sussurrò Lorenzo per far coraggio alla sorella… e anche a sé stesso. Ed ecco, mentre facevano l’ultimo passo, quasi attaccati alla porta e stavano per voltarsi ad acchiappare la maniglia… Bom! Bom! Bom! Qualcuno bussava forte? Era arrivato il nonno, finalmente?… Ma no! I bambini si ricordarono dell’insegna di legno che avevano visto prima di entrare: era quella che colpiva la porta sotto la forza del vento. Che delusione! E ora?

“No, no! Non si esce! -gridò il vecchio- Venite qui!”

E siccome i fratellini non si muovevano, si avvicinarono lui e la vecchia, ciabattando nelle loro ciabattone. Camminavano piano e strusciavano i piedi… strusc strusc strusc… com’erano lenti! Ma Alice e Lorenzo per la paura non riuscivano a muoversi e li guardavano avvicinarsi sempre di più con le mani guantate tese verso di loro. Già, non avevano ancora visto cosa c’era sotto quei guanti: mani o zampe?

E quando i vecchietti li afferrarono per i polsi e cominciarono a trascinarli verso il camino, si accorsero che non erano per niente deboli e malaticci come sembravano. Che forza in quelle mani!… o in quelle zampe?

“Qui a sedere, ora, senza storie! -scatarrò il vecchio- Nonna, pensaci tu!”

“Ci penso io, ci penso io -disse la vecchia e cominciò a carezzarli sulla testa- Che buon odore  hanno questi bambini, vero nonno? E che buon odore viene dalle loro cestine!… Mi è venuta un’idea!”

Guardarono la vecchia allontanarsi verso una credenza, mentre il vecchio pareva sonnecchiare accanto al fuoco… o faceva finta?…

La vecchia faceva su e giù tra la credenza e il camino, ciabattando lenta lenta e portando in mano solo una cosa per volta: prima un mazzetto di erbe profumate, poi una enorme ciotola di terracotta, poi un coltello, poi un grosso mestolo di legno, poi uno di ferro, poi una caraffa di vino. Poggiava una cosa alla volta sul tavolo accanto al camino e se ne tornava indietro tranquilla a prendere un’altra cosa. I bambini guardavano fuori dalla finestra per vedere se il temporale finiva, e tendevano le orecchie per sentire i passi del nonno: certamente sarebbe venuto! Ma sarebbe arrivato in tempo? Ecco la vecchia che tornava ancora ciabattando: e che cos’era quella cosa nera che portava pesantemente nelle mani?… Una gigantesca padella di ferro, ecco cos’era… non ne avevano mai vista una così grande… “Ci siamo!” pensarono i bambini “Se il nonno non arriva subito, ci trova già bell’e cotti!”

E in quel momento… ciac ciac ciac… rumore di stivaloni sulle foglie bagnate. E poi… dlin dlin dlin… suono di campanella vicino alla porta… Questo non era il vento. La vecchia posò la padellona accanti al camino e… strusc strusc strusc… arrivò fino alla porta. “Chi è?” chiese con la sua voce rauca.

“Giovanni!” squillò la voce del nonno; e Alice e Lorenzo si buttarono di corsa verso la porta. “Siamo qui, siamo qui, nonno!” urlarono mentre la vecchia apriva.

“Lo so che siete qui, mascalzoni! Avete seminato castagne dappertutto, per fortuna, da casa fino a qui: così vi ho trovati subito!

“Già, le castagne!” fece la vecchia “Stavamo proprio per cuocerle, vero bambini?”

I fratellini si voltarono verso il camino e guardarono la padellona nera: allora non era per loro? Era per le castagne? O la vecchia s’inventava una bugia col nonno?

“Andiamo subito a casa, visto che il temporale è finito” disse il nonno.

Già, il temporale era finito all’improvviso e loro, per la paura, non se n’erano nemmeno accorti: niente più gocciolone come sassi, niente più vento che gridava; solo goccioline giù dagli alberi e dal tetto sul terreno bagnato… tic tic tic… goc goc goc…

“Svelti, e preparatevi a fare i conti con la nonna. E’ molto arrabbiata!”

Sì, quando la nonna era arrabbiata sul serio, non c’era da scherzare! Alice e Lorenzo lo sapevano, ma non vedevano l’ora di tornare a prendersi la giusta punizione: sempre meglio che finire in padella!

“Grazie!” gridò il nonno verso il vecchio che sonnecchiava; e quello: “Peccato che ve ne andate! Sarà per un’altra volta…” e giù la sua risata lunga lunga e catarrosa.

Mentre si allontanavano verso casa, Alice si ricordò che il nonno aveva detto il proprio nome alla vecchia e quella lo aveva riconosciuto e aveva aperto. “Nonno, ma tu li conosci quei due?” “Li conosco sì” fece il nonno.

“Te l’ho detto che lui è quello che ha staccato un pezzo di dito al nonno!” disse Lorenzo, tutto orgoglioso di saperne più della sorella. “E’ lui Lupo Lupone, vero nonno?”

“Beh, da queste parti lo chiamiamo così, ma… a casa devo spiegarvi un po’ di cose… “Ma tu, nonno, sei un cacciatore di lepri o un cacciatore di lupi?” volle sapere Alice.

“Anche questa è una risposta un po’ complicata” disse il nonno. “Quando saremo a casa, dopo cena, con calma, vi racconto tutto…”

“Meno male!” pensarono Alice e  Lorenzo.  “La  punizione della nonna non ce la toglie nessuno,  fra pochi minuti… ma dopo, che serata speciale passeremo col nonno! Quante cose abbiamo da raccontarci stasera!”

C’era una volta e una volta non c’era
un bosco grande in una grande sera,
sera d’autunno, quando l’estate è finita:
per le creature del bosco si fa più dura la vita.
“Tempo da lupi” lo chiama il nonno
con strane storie ti agita il sonno.
Adesso che una anch’io ne ho inventata
rispondi: la favola è ben raccontata?

A cura di: Arcangela Tosto Tonini 

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