Bisogna riconoscere che in quei giorni c’era stato in Paradiso uno straordinario fervore di preparativi. Da quando Gabriele in persona era stato inviato a Nazareth, tutte le schiere angeliche erano mobilitate per l’avvenimento che doveva essere il centro della Storia. Stava per nascere Gesù; il Figlio di Dio avrebbe rivelato agli uomini il senso della loro vita e offerto loro la comunione con il Padre, la loro salvezza.
L’avvenimento era quindi assolutamente unico: nulla doveva essere lasciato al caso. Per giorni e giorni gli angeli del cielo furono impegnati a provare e riprovare i costumi, i canti e le danze della notte santa. Gli arcangeli non sembravano mai soddisfatti e ogni volta aggiungevano un tocco di finezza o una strofa nuova all’inno della pace. Non era infatti cosa semplice e non c’erano stati precedenti cui ispirarsi. Non si trattava soltanto di portare sulla Terra un poco di luce. Difficile era offrire la luce propria di Dio, quella che fa vedere a ciascuno anche i suoi peccati, ma non conduce alla disperazione, piuttosto allaconfidenza nel perdono; quella che mostra la verità degli altri, ma non per criticare con severità, bensì per comprendere e aiutare.
Non bastava poi cantare. Era necessario che il canto disponesse i cuori all’armonia: non un rumore in più per la distrazione, ma un invito alla letizia profonda della carità. La danza da proporre non doveva aggiungere ancora una fatica ai giorni dell’uomo. Si doveva insegnare la consolazione di tenersi per mano e fare in modo che danzasse l’anima e il sorriso là dove il passo eraimpedito. L’angelo Serafino s’era messo con entusiasmo a imparare la sua parte: era tra i più giovani e i più emozionati. Anche di notte, mentre riposava, sognava il momento solenne e ripeteva le parole benedette: “Gloria a Dio e pace all’uomo”.
Gli ultimi giorni furono frenetici e la vigilia le prove generali occuparono gli angeli per ore e ore, senza un attimo di respiro. Il fatto è che quando le trombe suonarono nel cuore della notte di Natale e gli angeli si disposero alla missione, nessuno s’accorse che mancava l’angelo Serafino. Stanco com’era, aveva finito per prendere sonno e i tre squilli di tromba non erano serviti che a offrire un ritmo più festoso ai suoi sogni beati. Tutto si svolse alla perfezione e il popolo della Terra vide una grande luce che rese lieta di canti e di danze la notte oscura. Guidati dalla compagnia degli angeli gli uomini videro quella notte il volto di Dio e furono pieni di gioia.
Ma potete immaginare il disappunto e la voglia di piangere che prese l’angelo Serafino quando, svegliatosi di soprassalto, s’accorse che già splendeva sulla terra il sole del mattino. Corse a cercare gli amici, chiamò a gran voce: nessuno gli rispose. Sembrava che tutta la corte celeste si fosse trasferita sulla Terra. Qualche ora dopo, l’angelo Serafino, rimasto solo in Paradiso, dopo aver pianto un poco – anche gli angeli infatti piangono qualche volta – si lanciò all’inseguimento dei compagni.
L’esercito del cielo, secondo il programma, volava per la Terra in forma di stella a recare dappertutto la buona notizia. E l’angelo Serafino, rincorrendo i suoi amici un po’ distratti, arrivò sulla Terra il giorno dopo. Ma rimase, a dir poco, sconcertato. Ecco: i pastori erano tornati al loro gregge e avevano già dimenticato la gioia della notte santa. Tristi e avviliti come sempre, credevano forse d’aver solo sognato. L’eco della canzone angelica s’era già spento e tornava a risuonare sulla Terra, prepotente e stonato, il grido di guerra e la parola cattiva.
I passi di danza erano già finiti e ciascuno aveva ripreso il suo cammino solitario e faticoso come un viandante smarrito e scoraggiato. L’angelo Serafino non voleva credere ai suoi occhi. “Come è possibile? – mormorava tra sé – È venuto Gesù, la gioia del Padre e questi se ne sono già dimenticati!”. Quando finalmente giunse presso la casa dove Maria e Giuseppe circondavano il bambino Gesù di cure e d’affetto, l’angelo Serafino aveva proprio voglia di sfogarsi e di essere un po’ consolato del gran fallimento di tutta l’impresa tanto attesa e preparata. Voleva anche lamentarsi un po’ con alcuni uomini, che non gli sembravano affatto simili a Gesù ed erano così facili a dimenticare.
Maria e Giuseppe l’accolsero con un sorriso che fece brillare di luce tutta la casa e per un po’ sentì la canzone della pace accompagnare i sonni del bambino Gesù. Dunque in un angolino della Terra continuava la festa di Natale! Quando poi Gesù si svegliò, l’angelo Serafino si avvicinò commosso e faticò non poco a trattenere i lacrimoni che s’affacciavano agli occhi. Gesù, però, quando gli fu vicino, lo guardò come si guarda un amico in cui si ha piena fiducia e, come se sapesse già tutto, gli fece una carezza. L’angelo Serafino lesse in quello sguardo e in quella carezza il conforto e la missione. E capì che Natale non finisce in una notte.
Questo era il suo compito: continuare a cantare la canzone della pace e a danzare la festa. Tutti i giorni il popolo della Terra ha bisogno d’essere illuminato della luce di Dio. L’angelo Serafino partì dunque per la sua missione. Era, sapete, un angelo giovane e la sua voce non aveva la potenza delle trombe del cielo e la sua luce non splendeva come un sole abbagliante. Perciò se n’accorgono solo quelli che si fermano in silenzio ad ascoltare e quelli che hanno la pazienza di incamminarsi nella notte più buia verso la piccola luce che non si stanca di indicare la presenza di Gesù.
Alcuni dicono che sono migliaia sulla Terra gli angeli come Serafino: nessuno li nota, perché sono in incognito, eppure molti imparano da loro la canzone della pace e molti sono lieti di ricevere da loro l’invito a entrare nella luce di Natale. Forse anche tu che leggi sei l’angelo Serafino, ma questo è un segreto e resterà tra noi.
Mons. Mario Delpini