C’era una volta una pecora diversa da tutte le altre. Le pecore, si sa, sono bianche; lei invece era nera, nera come la pece. Quando passava per i campi tutti la deridevano, perché in un gregge tutto bianco spiccava come una macchia di inchiostro su un lenzuolo bianco: «Guarda una pecora nera! Che animale originale; chi crede mai di essere?».
Anche le compagne pecore le gridavano dietro: «Pecora sbagliata, non sai che le pecore devono essere tutte uguali, tutte avvolte di bianca lana?».
La pecora nera non ne poteva più, quelle parole erano come pietre e non riusciva a digerirle.
E così decise di uscire dal gregge e andarsene sui monti, da sola: almeno là avrebbe potuto brucare in pace e riposarsi all’ombra dei pini.
Ma nemmeno in montagna trovò pace. «Che vivere è questo? Sempre da sola!», si diceva dopo che il sole tramontava e la notte arrivava. Una sera, con la faccia tutta piena di lacrime, vide lontano una grotta illuminata da una debole luce. «Dormirò là dentro» e si mise a correre. Correva come se qualcuno la attirasse.
«Chi sei?», le domandò una voce appena fu entrata.
«Sono una pecora che nessuno vuole: una pecora nera! Mi hanno buttata fuori del gregge».
«La stessa cosa è capitata a noi! Anche per noi non c’era posto con gli altri nell’albergo. Abbiamo dovuto ripararci qui, io Giuseppe e mia moglie Maria. Proprio qui ci è nato un bel bambino. Eccolo!». La pecora nera era piena di gioia. Prima di tutte le altre poteva vedere il piccolo Gesù.
«Avrà freddo; lasciate che mi metta vicino per riscaldarlo!».
Maria e Giuseppe risposero con un sorriso. La pecora si avvicinò stretta stretta al bambino e lo accarezzò con la sua lana. Gesù si svegliò e le bisbigliò nell’orecchio: «Proprio per questo sono venuto: per le pecore smarrite!».
La pecora si mise a belare di felicità. Dal cielo gli angeli intonarono il «Gloria».