La notte di Natale uscì da casa e si smarrì nella grande città. Forse la nebbia, forse i marciapiedi affollati, le luci delle vetrine, le luminarie delle strade, forse la voglia di vagabondare, di seguire gli umori della festa, forse tutte queste cose insieme, sta di fatto che non ritrovò più la strada di casa. Si fermò ad un incrocio e attese che passasse qualcuno di cui fidarsi, per seguirlo senza far caso agli insulti e intrufolarsi a casa sua al calduccio.
Si sistemò nella rientranza di un negozio al riparo dal freddo e aspettò.
Davanti a lui passò ogni genere di passanti: frettolosi, sbandati, carichi di pacchi. Non perse la speranza e alla fine vide avvicinarsi i tipi giusti, quelli da seguire, costi quel che costi.
Erano come lui: senza una meta precisa, un po’ sporchi, senza soldi, senza pacchi o cose del genere: un ragazzo e una ragazza. Quando gli passarono davanti la ragazza si volse a guardarlo, senza fermarsi, trascinata dallo slancio del suo ragazzo. Allora li seguì: pensò che quel loro andare senza meta fosse solo apparente e che, prima o poi, da qualche parte si sarebbero fermati. Ora anche il ragazzo si voltava a guardarlo, e poi ridevano, accelerando il passo.
Li seguiva con determinazione: di quartiere in quartiere ormai avevano attraversato tutta la città e sembravano sempre più smarriti, anch’essi. Nei pressi della stazione rallentarono. Il ragazzo tirò fuori una birra e la finirono a sorsate, passandosi la bottiglia.
Erano belli , dimentichi di sé, della periferia desolata, del freddo, dell’alba che spuntava livida dietro ai treni in corsa. Poi repentini scavalcarono un muretto e si allontanarono tra i binari.
Li seguì, non voleva rinunciare a loro anche se ormai non sperava più al calduccio di una casa.
Tra il 15° e il 16° binario si fermarono e lo chiamarono.
– Perché ci segui? –
– Non ce l’hai un padrone?-
– Come sei carino –
La ragazza si chinò su di lui e lo raccolse tra le braccia. – Lo chiameremo Natale – disse accarezzandolo.