Il processo e il naso

È il 1956 o il 1957e io ho circa nove anni e abito a Edolo, un paese del­la Lombardia.

La linea ferroviaria finisce lì, a Edolo: il treno non va oltre. I binari (le due guide di acciaio su cui si muovono i treni, i tram) finiscono dopo duecento metri dalla stazione. In fondo ci sono i prati. C’è un capannone (grande spazio coperto come deposito di merci o materiali) e dei vecchi vagoni ferroviari (carri dei treni) di legno.

Per noi bambini è un posto bellissimo per giocare. Giochiamo là di pomeriggio, fino a che è buio, e siamo divisi in due bande (compagnie di amici) nemiche. Il nome delle bande è preso da qualche film che ve­diamo la domenica all’oratorio (luogo vicino a una chiesa dove si trovano bambini e ragazzi per giocare). La televisione non c’è ancora nelle case. Per vedere la televisione bisogna andare al bar.

Io sono il capo di una banda perché forse sono il più forte, o il più veloce, o il più coraggioso.

Le bande combattono tra loro. Ogni tanto riusciamo a catturare un nemico e a farlo prigioniero. Lo portiamo nel nostro covo (luogo segre­toto dove si raduna la banda) e gli facciamo un processo. La nostra tana si trova in un vecchio vagone ferroviario. Un tempo (una volta, tem­po fa) quel vagone trasportava bestiame e dentro c’è odore di legno e di bestie. Su un lato del vagone c’è una finestra rettangolare chiusa da uno sportello (piccola porta) di legno. Abbiamo con noi un nemico e sia­mo pronti per fargli il processo. Io sono il capo e mi metto in piedi da­vanti a lui e do l’ordine: «Incominciamo il processo!». Do anche un col­po con il piede alla parete di legno del vagone, che si trova dietro di me.

Sento una botta tremenda (colpo molto forte) sulla mia faccia. Anzi, sul mio naso.

Che male! Vedo le stelle! Lo sportello della finestra si è aperto di colpo.

Sono intontito (non capisco più niente, sono confuso). Tutti ridono. Ride anche il prigioniero. Io tocco il mio naso per sentire se è rotto.

Grido: «Non ridete!». Tutti continuano a ridere e io sono molto arrabbiato. Torno a casa da solo.

Non racconto nulla ai miei per­ché ho paura di essere sgridato. Il naso non mi fa più male. Ha solo un segno rosso. Dico che mi sono graffiato durante i giochi.

Il giorno dopo il naso si ingrossa dove ha preso il colpo. Ancora og­gi che sono adulto il naso è più grosso da quella parte e chi mi guarda mi dice: «Lo sai che il tuo naso non è al centro della tua faccia?».

Ecco come è successo che il mio naso non è al centro della mia fac­cia: durante un processo in un vagone.

Tratto da: Quando avevo la tua età, Bompiani, Milano 1999

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