Era uno splendido autunno… la Campagna era veramente Amica.
Le castagne, le more, le noci, i fichi, erano ormai maturi al punto giusto.
I ricci avevano un gran daffare. Ogni mattina uscivano dalla loro tana per raccogliere semi, bacche, radici; costituivano la provvista per l’inverno, e bisognava preparare anche le marmellate.
Il signor Riccio de’ Spinis Viendalvulture era uscito di buon mattino a raccogliere un po’ di frutta con il figlio Ricciodoro.
“Stammi vicino, e stai attento a non perderti”, gli disse mentre camminavano lungo i vigneti pieni di succulenti grappoli d’uva.
Il piccolo Ricciodoro si rotolava sui chicchi che papà riccio faceva cadere grazie all’abilità delle sue zampette. Sul dorso ne era così pieno da sembrare un grappolo d’uva.
Furono raggiunti dalla signora Coccinella, che esclamò:
“Stavo proprio cercando voi! Sono molto indaffarata a causa di un nugolo di afidi, gran pasticcioni. Mi rovinano tutte le piante; sai quanto ci tengo alle mie piante! Per non parlare poi della signora Ragnoletti, che tesse, tesse la sua bella ragnatela e la stende ad asciugare sempre dove non dovrebbe. Un giorno o l’altro ci finirò dentro”.
“Suvvia, signora Coccinella” rispose Riccio de’ Spinis “faremo una riunione speciale, anzi specialissima, in Via Aglianico, alle sette di mattina. Chiariremo cosa è giusto o non giusto fare”. “Bene, sarò puntuale. Arrivederci”, disse Coccinella andando via.
“Arrivederci signora Coccinella, a domani. Avviserò afidi, ragno, ragnetti, api e vespe!” rispose Riccio de’ Spinis Viendalvulture.
Papà riccio si fermò preoccupato.
“Dove sei, Ricciodoro?!”.
Cerca di qua, cerca di là, non si trovava da nessuna parte, né tra l’erba alta, né tra i cespugli. Papà riccio allora pensò che il suo piccolo fosse andato a casa a gustarsi l’uva appena raccolta. Si avviò quindi verso casa per controllare.
Dopo aver curiosato un po’, Ricciodoro si sdraiò ai piedi di un albero d’ulivo, bello, dall’aspetto maestoso e con le foglie ora argentate, ora di un verde cupo. I suoi frutti luccicavano al tocco magico dei raggi lucenti dell’amico sole, come gioielli rari e preziosi.
Decise di riposarsi giusto un momento, scrollandosi alcuni acini d’uva di dosso e assaporandoli, e, nello stesso tempo, osservare questo strano albero. Soprattutto si divertiva a seguire con lo sguardo la corteccia contorta, dalla forma quasi umana.
“Sembri un contadino, sì, proprio come quello laggiù” disse Ricciodoro rivolgendosi all’ulivo e indicando un contadino che zappettava tutt’intorno ad un altro albero di ulivo.
“Sembri… ma sembri pure un albero! Certo che sei strano tu”.
Detto questo, lavò un acino d’uva in due gocce di rugiada raccolta su un filo d’erba, e, in un sol boccone, assaporò la dolcezza di quella meraviglia.
Dopo aver finito, decise di fare il percorso a ritroso. Cominciò ad annusare di qua e di là, ma il suo fiuto non funzionava a dovere. Optò allora per una soluzione poco
dignitosa per lui. Si rivolse all’albero d’ulivo urlando: “Hei, dei piani superiori, puoi indicarmi la via per casetta mia? Credo di aver smarrito la strada”.
“Hum, hum” borbottò l’albero d’ulivo “toc, toc, toc”, alcune olive si staccarono dai rami lucenti e colpirono il piccolo Ricciodoro.
L’ulivo si contorse scricchiolando un po’, abbassandosi più che poteva, stando attento alle sue drupe affinché non cadessero.
Finalmente vide Ricciodoro, col suo bel musino all’insù, che lo guardava speranzoso: “Toh! Guarda, il mio piccolo ospite che ha smarrito la strada” disse l’albero d’ulivo “e che non sa chi sono io!”.
“E’ che sei strano, sei enorme. I tuoi frutti… posso assaggiarli?” chiese Ricciodoro.
“Certo” rispose l’albero d’ulivo “ma nel modo giusto. Tu, mio giovane amico, chi sei? Come ti chiami? Da dove vieni?”.
“Mi chiamo Ricciodoro Viendalvulture, terzo cucciolo di Riccio de’ Spinis Viendalvulture e di mamma Ricciocucinaben. Vengo da un posto meraviglioso, una terra antica, alle pendici di un vulcano, terra di buoni odori, erbe profumate, acque cristalline… un paesaggio davvero mozzafiato! Parlami un po’ di te, ora”.
“Certamente, mio piccolo amico”. Con malcelato orgoglio, l’ulivo si fece più maestoso che mai, sembrando più rugoso e imponente, con le drupe che lo adornavano come una corona piena di pietre preziose, verdi e nere, come gemme rare. Si schiarì la voce e disse:
“Sono l’ulivo, il Signor Ivolulivo, extra perfino. Mi trovo su un’area protetta e in questa zona sono il più anziano. Produco un olio che è tutta salute, sicuro!”.
“Posso assaggiarlo anch’io?” chiese Ricciodoro.
“Certo che sì, mio piccolo amico. Ora però dovresti tornare nella tua tana, i tuoi saranno in pensiero” rispose l’ulivo con dolcezza.
“Hai ragione, sì, sì, è meglio che vada. Ti assicuro però che tornerò presto a trovarti con i miei fratelli e i miei amici”.
“Ecco, tieni” continuò l’albero “raccogli tutte le olive che puoi, il tuo papà saprà come utilizzarle; un piccolo dono, ma tanto prezioso, vedrai”. E aggiunse “Segui quel sentiero lungo i castagneti, non ti puoi sbagliare. Attento, fiuta e riparati sempre al primo pericolo che incontri!”.
“Grazie, grazie ancora”.
Mentre ringraziava, Ricciodoro si rotolava per prendere, tra i suoi aculei di riccio, quante più olive poteva. Dando un ultimo saluto, si avviò, lesto lesto, per il sentiero indicatogli. Il sentiero era rassicurante, in fondo le castagne erano un po’ come parenti, magari cugine alla lontana, per via del riccio che le nascondeva.
“In natura un po’ le cose si somigliano” pensava Ricciodoro camminando “io somiglio al riccio di castagna, il signor Ivolulivo ad una figura umana, quella foglia che cade dall’albero, poi, sembra una farfalla…”.
* * *
Lisetta si avvicinò al frigorifero, che la guardava con aria invitante: era l’unico in grado di poterla capire.
“Sei venuta di nuovo a trovarmi? Che piacere! Mangia pure tutto quello che contengo, divora il burro, il ketchup, le uova, il budino al cioccolato, la maionese, le bibite, quelle gassate che piacciono tanto a te. Vedrai che la noia scappa via”.
“Veramente non dovrei!” rispose Lisetta, avvicinandosi ancora un pochino allo sportello del suo amico frigo.
“Suvvia, non dire sciocchezze!” di rimando il frigo “Chi te lo impedisce?”.
“La mamma” stava per rispondere Lisetta, ma prima che le parole le uscissero di bocca, la sua mano aveva già aperto lo sportello del frigorifero. Che meraviglia! La mamma aveva fatto la spesa, e tutti gli scomparti erano pieni dal primo all’ultimo.
Sazia, Lisetta si lasciò cadere a peso morto sul divano, tra cuscini e briciole, pensando ora alla nonna ora al desiderio di un cane, un gatto, un passerottino magari, o meglio ancora una sorellina con cui giocare.
Intanto il suo pancino si agitava come una barchetta nella tempesta; mancava ancora mezz’ora all’arrivo della nonna.
“Bene!” disse “Ora guardo la tivvù. Mi farò preparare un bel dolce al cioccolato dalla nonna” pensò Lisetta, parlando col suo pancino, pieno di tutto ciò che i suoi occhi avevano visto, che confermava con un sonoro rutto di gradimento.
Ah! Come si stava bene con la pancia piena!
Lisetta si pizzicò i rotolini di ciccia, rotoli di grasso che si muovevano come un canotto in balìa delle onde. Li tirò avanti e indietro come se fossero pasta da pane.
Soddisfatta di sé, aspetto l’arrivo della nonna sdraiata davanti al televisore guardando un cartone animato.
La nonna era molto gentile con lei. I suoi racconti rallegravano i lunghi pomeriggi di solitudine e di noia.
“Lisetta, dai un bacino alla nonna”, disse la nonna dopo essere entrata. “Ciao, nonna!”, rispose Lisetta.
“La mamma non è ancora rientrata?” chiese la nonna “Hai finito di fare i compiti?”.
“Compiti non ne ho, e… ho voglia di una merenda! Mi hai portato qualcosa di buono? Patatine fritte, gomme da masticare o cioccolato con le sorpresine?”. “No, niente di tutto questo!” rispose la nonna, e continuò “che ne dici di una spremuta di sole e una fetta di pane abbrustolito con oro colato e cristalli di luna?”. La nonna era in grado di farle mangiare tutto quello che voleva, ma Lisetta avrebbe preferito un bella merendina… come quelle della pubblicità. “Lisetta!”, chiamò la nonna “che ne dici, facciamo una bella passeggiata fino a casa mia?”.
“Ma nonna! Ora c’è il cartone animato mio preferito, e poi ce n’è un altro e un altro ancora! E inoltre la campagna non mi diverte!”.
“Suvvia, vedrai, fuori ci sono molte più cose animate, per dirla come te! Lasceremo un biglietto scritto alla mamma. Lo leggerà di ritorno dal lavoro, così passerai la notte da me. Cosa ne pensi?”.
“Grandioso, nonna! Potrò giocare con i tuoi gatti?” chiese la bimba.
“Sicuro”, rispose la nonna “l’importante è che non tiri più i baffi al povero Orazio il gatto e, soprattutto, non lo lanci contro il povero Polpetta il cane!”. “Inteso, nonna, ormai sono cresciuta”.
“Mah!”. La nonna sorrise, ma in cuor suo temeva per il povero Orazio e il tranquillo Polpetta.
Uscendo, Lisetta chiese alla nonna: “Portiamo con noi un sacchettino di patatine fritte?”.
Rispose la nonna: “Al posto delle patatine ho con me un sacchetto di castagne arrostite. Vedrai che buone che sono”.
Chiacchierando, si avviarono verso i campi, con le caldarroste ancora calde tra le mani. La nonna le aveva avvolte con cura in un panno caldo di lana. “Nonna” disse Lisetta “le castagne sono veramente buone, hanno un sapore dolce… mmmmh… speciale direi! Hanno un nome?”.
“Vedi come la passeggiata ti fa bene?”, rispose la nonna “certo che hanno un nome: Marroncino di Melfi. Sono buone anche per preparare i marrons glacés. Vengono prodotte naturalmente, non si concimano e non subiscono alcun trattamento. Biologiche, insomma”. “Biologiche?! Trattamenti?! … Che vuol dire, nonna?”.
“Significa che sono prodotte senza utilizzare sostanze chimiche, in maniera naturale, per fortuna” spiegò la nonna.
“Sono veramente buone… buone… ancora una, nonna!”.
La nonna l’accontentò, continuando: “Il castagno un tempo veniva chiamato albero del pane di montagna, così maestoso con la chioma protesa verso il cielo. Veniva coltivato per sfamare, riscaldare, costruire utensili. Pensa ai calzoni che spesso ti preparo, ripieni di castagne, ceci lessati, zucchero, cannella. A proposito di dolci, sai cosa ho comprato? Delle croccanti e profumatissime Mele dell’Alta Val d’Agri con cui preparerò una buonissima torta! Sentirai che buon odore… e come ti divertirai ad aiutarmi! Altro che tivvù”.
“E poi, nonna?” continuò eccitata Lisetta.
“Poi, ti insegnerò a legare tra loro i Peperoni di Senise e le Melanzane di Rotonda, formando le tipiche serte”. Parlando, la nonna sorrideva, divertita dallo sguardo incuriosito della nipotina. “Capisco”, continuò la nonna “devi sapere che le serte non sono altro che delle tipiche collane ottenute legando questi ortaggi con uno spago attraverso il peduncolo. Faremo a gara a chi farà la serta più bella. Quando avremo finito di prepararle, le appenderemo per farle essiccare, così potremo gustare questi deliziosi ortaggi anche in inverno”.
* * *
Strada facendo incontrarono un piccolo e buffo riccio. Correva, un po’ si fermava, si alzava sulle zampette, annusando di qua e di là. Sul dorso acini d’uva e olive, turgide e lucenti.
“Toh! Guarda, un riccio, un cucciolo direi” notò la nonna.
“Non avevo mai visto un riccio, nonna. E’ proprio buffo! E’ pericoloso?”.
“No, no, macché! L’importante è lasciarlo andare. Sicuramente la sua tana è laggiù, tra i vigneti. Lo sai, Lisetta, che quelle viti ci regalano l’ottimo vino a Denominazione di Origine Controllata che beve papà, l’Aglianico del Vulture? Sono dei vitigni tanto antichi che persino illustri poeti di un tempo lontano ne cantarono le lodi”.
“Ad esempio?” chiese Lisetta.
“Il poeta latino Orazio, affascinato dai luoghi della nostra terra e dal nostro vino”.
“A p r o p o s i t o di denominazioni, ricordo che a scuola degli esperti ci hanno spiegato cosa sono. Sai nonna, oggi ne abbiamo altre tre: il Terre dell’Alta Val d’Agri DOC, il Grottino di Roccanova IGT e il Basilicata IGT”.
“C’è da esserne fieri!”, esclamò la nonna “il mio vicino di casa, il signor Bevichetipassa, di Barile, ha un vigneto più bello di un giardino imperiale. Per non parlare poi della cantina! Sai, bambina mia, che le cantine a Barile sono caratteristiche, scavate nel tufo. Vengono chiamate, dagli abitanti, sheshe. Il vino viene conservato in botti di rovere, com’è tradizione”.
“Che bel sole. Le fronde degli alberi sono belle e colorate”, notò la bimba. Com’era bello passeggiare per quelle vie, con i raggi del sole che entravano in tutte le case attraverso le finestre aperte.
Dopo un bel po’, arrivarono alla fattoria della nonna. Gli animali del cortile le accolsero con un gran baccano, qua qua, coccodé, chicchirichì, miao miao, bau bau, hoinc hoinc, e chi più ne ha più ne metta. Polpetta il cane le si avvicinò, l’annusò e gli rimase accanto in attesa di coccole. Il resto degli animali era come impazzito. Galline sopra le teste dei maialini, paperelle che starnazzavano per un posto in prima fila, lì sul muretto, tra gerani e rosmarino. I gatti, poi, come funamboli sul filo dello stendibiancheria, mentre il bucato, steso al sole, si presentava ora… steso a terra, o meglio in balia di Orazio il gatto, che sembrava avercela soprattutto con la tovaglia della nonna, ancora odorosa di buoni pranzetti. Si sa, i gatti adorano far danni, soprattutto se sul capo hanno la tovaglia della nonna.
Di lì a poco si sentì suonare una campanella. Era il pastore Filiano detto il Ricotta, con le sue pecore e le caprette dal titolo nobiliare DOP. Sfilavano innanzi al cortile: uno spettacolo! Come soldati, una accanto all’altra, in fila per tre, anzi per quattro addirittura. Gli agnellini, poi, de-li-zio-si, zampettavano all’interno del gruppo in cerca di un’ultima poppata.
La nonna scambiò quattro chiacchiere con il signor Ricotta: “Buonasera signor Ricotta. Le sue caprette hanno delle belle mammelle piene di latte. Gentilmente, me ne potrebbe mungere un po’… sa, per Lisetta, la mia nipotina. In cambio le offro un barattolo di marmellata di Fragole del Metapontino. So che i suoi ragazzi ne sono ghiotti”.
“Sicuro!” disse il pastore “piace anche a me. E poi, come la prepara lei!”.
“Il merito non è mio”, disse con modestia la nonna “ma delle Fragole del Metapontino. Me le faccio portare appena sono mature, in primavera. Sarà il luogo, sarà l’aria; il fatto è che sono veramente buone, un miracolo della natura”.
Lisetta, con l’acquolina in bocca, osservava il signor Ricotta mungere la capretta Ginetta.
“Ginetta adora nutrirsi solo di germogli e foglioline giovani di alberelli e cespugli”, diceva il pastore mungendo “mai col muso per terra! Per forza il suo latte è così buono” continuò, porgendo il latte alla nonna in una ciotola.
Poi, rivoltosi a Lisetta, disse: “Assaggia quanto è buono questo latte! Le mie caprette e le mie pecorelle pascolano proprio lì, alle pendici del Vulture, dove l’erba è buona e l’ambiente incontaminato”.
“Ma davvero tieni tutte queste pecorelle e queste caprette solo per il latte? Sono così tante!” osservò Lisetta.
“Certo che no” rispose il pastore “sono così tante perché con il loro latte vengono prodotti tanti buonissimi formaggi, tra cui uno a Denominazione di Origine Protetta”. “Quale?” chiese Lisetta sempre più incuriosita, mentre il gatto Orazio si leccava i baffi dopo aver leccato sui sassi le goccine di latte versato dalla capretta Ginetta.
“Il Pecorino di Filiano! Ma ricorda, piccola, che la nostra Lucania ha un patrimonio davvero ricco di formaggi: il Caciocavallo Silano DOP, il Canestrato di Moliterno stagionato in fondaco, il Caciocavallo Podolico, il Cacioricotta… e poi, tutti realizzati con attrezzi tradizionali”.
“Tipo?” chiese la piccola.
“Il caccavo” rispose il pastore.
“Il caccavo? E cos’è?” di rimando Lisetta.
“Una caldaia… una caldaia in rame per riscaldare il latte. Poi c’è il tino, un contenitore in legno utilizzato per la coagulazione del latte. Il ruotolo o scopolo, un attrezzo di legno utilizzato per rompere la cagliata, e le fiscelle, contenitori per raccogliere la cagliata…”.
Nel frattempo, le caprette e le pecore, stanche di aspettare, incominciarono a belare con sempre maggiore insistenza. Lisetta, la nonna e il pastore Filiano detto il Ricotta si salutarono: “Arrivederci Lisetta, mi ha fatto davvero piacere conoscerti. Se sei così interessata ai miei prodotti, perché non vieni a farmi visita? Magari con i tuoi compagni di scuola! Vi farei vedere anche le mie mucche al pascolo e assaggereste del buon formaggio, accompagnato magari da una fetta di Pane di Matera! Ora debbo proprio andare”.
Con un lungo fischio, chiamò i suoi cani da gregge, che subito radunarono gli animali per avviarli di buon ordine verso l’ovile. “Arrivederci!”.
“Arrivederci”, risposero Lisetta e la nonna.
“Cos’ha di speciale questo Pane di Matera, nonna?”.
“Intanto è un pane fatto di sola semola. La crosta croccante racchiude una mollica dorata e morbida, dall’intenso profumo di grano. La fragranza ed il profumo sono inconfondibili. Rimane morbido e saporito per diversi giorni. La qualità di questo pane è insuperabile se la cottura viene effettuata in forno a pietra utilizzando legna di quercia. Ricordo, da bambina, quanto mi piacesse mordicchiarlo tutt’intorno, così buono ancora caldo; lo portavo a casa che ne mancava sempre un pezzettino”.
“Ora, nonna, credo proprio di volerla una fettona di Pane di Matera con, come tu dici, oro colato e cristalli di luna”.
“Vado subito a prepararlo, piccola mia” rispose la nonna dolcemente, rientrando in casa seguita dal gatto Orazio, che le si strusciava tra le gambe, facendo le fusa e miagolando, pronto a ricevere coccole.
* * *
Intanto, il piccolo Ricciodoro era rientrato nella sua tana, accolto con grande gioia dal papà, dalla mamma e dai fratellini. La gioia del ritorno si sostituì alla preoccupazione di non ritrovare la via di casa.
Raccontò del bell’albero d’ulivo, saggio e imponente, di quanto somigliasse ad un essere umano, e della bellezza della sua terra, di come il contadino ne avesse cura.
“Sai, papà, quant’è generoso l’albero d’ulivo, anzi, il signor Ivolulivo: mi ha donato alcuni dei suoi preziosi gioielli! Guardate cosa vi ho portato” disse Ricciodoro.
Papà e mamma riccio rimasero di stucco per tanta generosità. Non sapevano come sdebitarsi verso quell’albero così buono, umile anche nei confronti dei piccoli animali. Bisognava organizzare qualcosa di speciale, anzi specialissimo. Quelle olive erano veramente olive e non la popò delle pecorelle che ogni volta quel furbacchione di Topone Lampascione gli portava in cambio del buon formaggio di Filiano. Mamma Ricciocucinaben le andò subito a conservare tra le provviste per le occasioni speciali, insieme alle buone marmellate che aveva preparato grazie ai consigli della nonna di Lisetta, la quale, tanto cara, l’aveva ospitata nella sua casa tempo addietro per curarle una zampetta rotta.
Erano giornate dense di preoccupazioni per papà riccio, ce n’erano di cose da fare: la riunione con la signora Ragnoletti per risolvere il problema di quegli afidi così noiosi ed invadenti, avvisare Filippa la vespa e l’Ape Tonia del Dolcemiel ed ascoltare le giuste lamentele della signora Coccinella.
Inoltre, bisognava raccogliere le foglie secche per il giaciglio e le provviste per l’inverno. E poi, come ringraziare l’albero d’ulivo per tanta generosità?
Pensa e ripensa, camminando avanti e indietro, non notò il fosso proprio davanti alle sue zampette, e ci finì dentro. Subito si arrotolò su se stesso, formando una palla, mentre i suoi aculei lo proteggevano da quella rovinosa caduta. Patapumfete! Si scontrò con qualcosa di morbido.
“Hei! Vuoi stare un po’ più attento? Per chi mi hai preso, per un birillo?”, esclamò compare Talpabuchi.
“E tu, invece, per una palla da bowling? Hoi-hoi!” rispose papà riccio. “Questa voce la riconosco”, disse il signor Talpabuchi “tu sei compare Riccio de’ Spinis Viendalvulture”.
“Già, e tu sei compare Talpabuchi. Quanto tempo è passato! Non hai perso l’abitudine di fare ovunque buchi e gallerie. Dovresti mettere una segnaletica: un fiorellino, un sassolino, o chiedere alle lucciole del luogo di illuminare queste tue trappole”.
“Sì, sì…, ma, compare mio, cosa stavi facendo di così distrattoso da farti rotolare giù-giù per questo cunicolo?”, chiese compare Talpabuchi. “Veramente…”, spiegò tutti i suoi pensieri: le provviste per l’inverno, la riunione, e di come poter ringraziare il signor Ivolulivo.
Eureka! Al signor Talpabuchi venne un’idea geniale: ”Ascolta. Invita tutti ad un pic-nic all’ombra delle chiome del signor Ivolulivo che, tra l’altro, con la sua saggezza potrebbe calmare gli animi di chi si lamenta e far ritornare la Campagna… Amica”.
“Sarà divertente, verranno tutti. Bene, è ora di andare. Grazie di tutto, compare Talpabuchi, a presto!”.
“Arrivederci compare Riccio. A domani!”.
* * *
Al mattino, Lisetta, si svegliò al suono dell’orologio a cucù della nonna: aveva proprio dormito bene ed aveva, manco a dirlo, una gran fame. Si catapultò in cucina, ove regnava l’odore del buon latte, trovando la nonna che spezzettava una fetta di Pane di Matera in una scodella piena di latte e zucchero. Mangiò la zuppa preparata per lei, mentre i raggi del sole illuminavano, sul grande tavolo, la confettura di Fragole del Metapontino, dalle mille e dolci sfumature.
Lo sguardo di Lisetta si soffermò sul sacchetto di Fagioli di Sarconi posto sul ripiano della credenza. Lesse con attenzione l’etichetta, incuriosita da quelle piccole perle: marchio, produttore, luogo di produzione, scadenza. Lisetta pensò, con un sorriso, che la data di scadenza fosse inutile: tanto, sarebbero finiti prima.
“Dai, Lisetta, sbrigati che ti accompagno a scuola. Vedrai, una bella passeggiata di buon mattino, accompagnata dalla colazione che hai appena finito, ti farà bene. Strada facendo, ci fermeremo al negozio dei prodotti tipici, per comprare la tua merenda: i pandolci di Castelluccio Inferiore”.
“Che bello, i Muzzcun! Li abbiamo assaggiati a scuola, sono buonissimi! Ne porterò uno anche alla mia maestra!”, esclamò Lisetta, contenta, in quella splendida giornata d’autunno.
* * *
Ai piedi del maestoso ulivo, i piccoli ricci si rincorrevano rotolando sul prato, mentre mamma Ricciocucinaben urlava loro di non allontanarsi troppo.
La signora Coccinella discuteva animatamente con i noiosi afidi, facendo loro notare, che alla fin fine non le sarebbe dispiaciuto cucinarli alla brace.
La signora Ragnoletti, intanto tesseva la sua “tela” che avrebbe poi venduto a Filippa La Vespa e Tonia del Dolcemiel, le quali avevano appena terminato un corso di taglio e cucito tenuto dalla signora Tagliaforbice. Tra l’altro, i loro pungiglioni erano adatti per cucire il corredo, fatto di fiori di malva, che ben si addiceva al colore della loro peluria giallo sole e velluto nero. In cambio, la signora Ragnoletti, avrebbe gradito un po’ di Miele Lucano, tanto utile per la sua dieta.
Il signor Talpabuchi, intanto, si era messo in testa di suonare un po’ di musica con la sua “fisarfafoglia” e, tra una tarantella e una mazurca, teneva alto il morale di Ivolulivo, degli asparagi selvatici, dei cardoncelli e di altre piante del luogo.
Di lì a poco arrivò la famiglia Lumachetti, che nel frattempo si era motorizzata; facevano un gran baccano con le loro chiocciole a trazione anteriore.
Gli animaletti si radunarono tutti all’ombra di Ivolulivo. Anche Topone Lampascione era stato informato del pic-nic e si era presentato con due olive Majatiche di Ferrandina per antipasto. L’idea del pic-nic, preparato dalla signora Ricciocucinaben, era proprio riuscita. Si sa, di fronte alla buona tavola, tutti diventiamo più buoni e ben disposti gli uni gli altri, proprio come in una Campagna… Amica, mentre un venticello leggero raccontava ancora e ancora tante altre storie.
La fiaba, avente come tema i prodotti tipici e tradizionali lucani, costituisce un mezzo ulteriore e divertente per far riflettere i bambini su alcune delle tematiche trattate nel corso degli incontri.