Al principio, quando ogni cosa era nuova e tutto era stato fatto da poco, non pioveva.
Ciò era un bel guaio, un guaio tanto grosso che tutti gli animali si riunirono e decisero di invocare ad alta voce il cielo affinché mandasse la pioggia.
Si divisero, così, in vari gruppi, secondo le diverse specie.
Gli elefanti per primi si misero a barrire a tutto spiano. Ma la pioggia non venne. Provarono allora i rinoceronti; tutti i rinoceronti assieme. Ma la pioggia non venne. Provarono le giraffe, poi le antilopi, poi i leoni (e i loro ruggiti
parevano toccare il cielo). Ma la pioggia non venne.
Provarono tutti gli animali, pure i piccoli, pure i piccolissimi. Ma la pioggia non venne. Erano rimaste solo le rane; e gli animali le pregarono di invocare la pioggia dal cielo. Le rane si misero a gracidare tutte insieme.
Era così assordante il loro grido, così monotono, che il cielo per attutirlo si coprì di nubi. Tante, enormi nubi. Inutilmente però. Il gracidare delle rane riusciva a penetrare attraverso la spessa cortina.
Alla fine il cielo, stanco di udirle, tentò di affogarle con l’acqua. Piovve.
Avendo ottenuto quel che volevano, le rane tacquero. Essendo piovuto, l’erba crebbe e gli altri animali si sparpagliarono per ogni dove a mangiare. Solo le rane rimasero nelle buche ove l’acqua si era fermata perché, avendo fatto piovere, si consideravano padrone dell’acqua.
E lì son sempre rimaste, cercando il cibo tra la melma.
Ancor oggi, quando gracidano, non lo fanno per nulla: lo fanno per chiamare la pioggia.
I popoli raccontano, La Scuola