Olga Papel
Olga Papel era una ragazzina esile come un ramoscello, mangiava come un uccellino, faceva respiri brevi e il suo esistere, quasi sempre, produceva pochissimo rumore, se non un leggero fruscio, come la pagina di un libro mossa dal vento. Talvolta era in un posto e subito dopo era in un altro; saltava fuori bagnata zuppa da dove acqua non ce n’era, sporca di sabbia da un bosco innevato, bruciata dal sole in un giorno di pioggia.
Sua nonna diceva che, da quando Olga era nata, le sem- brava di vivere con un fantasma: la vedeva uscire e un attimo dopo se la ritrovava in casa, addormentata davanti al fuoco; la sentiva parlare, ma la bambina era fuori, a giocare nei campi; e altri fatti strani che accadevano quando c’era la luna piena.
Nora sorrideva. Aveva capito di aspettare Olga l’istante in cui il semino era stato deposto nel suo ventre.
“Benvenuta” le aveva sussurrato, “spero che starai comoda”.
L’aveva amata dal primo momento e nell’ansiosa attesa di conoscerla le aveva parlato sempre; le aveva descritto la casa in cui sarebbe nata, il villaggio al quale sarebbe appartenuta, la campagna in cui sarebbe cresciuta.
E ogni sera le aveva raccontato una storia.
Quando, una tormentata notte d’inverno, un mese prima della data stabilita, Olga era venuta al mondo, Nora aveva esultato, perché la neonata era esattamente come se l’era immaginata: bruna e intelligente.
“Bruna va bene” aveva commentato nonna Almida, “ma intelligente… È nata da mezz’ora, aspetta prima di conoscerla!”
“Io la conosco, la conosco da sempre!” aveva risposto Nora.
“Sarà” aveva borbottato la nonna. “Intanto, dalle da mangiare, è sottile come una foglia di mais. E per il nome?”
“Olga” aveva sussurrato la madre baciando la figlia, “un nome cicciotto per il mio foglietto di carta”.
E così, senza cambiare nessuna delle sue abitudini, Nora aveva cresciuto la bambina, con l’aiuto non richiesto della nonna e senza un marito.
Il padre di Olga se n’era andato quando la piccola era ancora nella pancia, colpito da un fulmine mentre tornava dalle vigne. E siccome in quello stesso punto, metro più metro meno, era morto il nonno, anch’esso colpito da un fulmine, al villaggio s’era insinuato il sospetto che sulla famiglia Papel aleggiasse la malasorte. La nascita della bambina in una notte fredda e tempestosa, in anticipo di un mese, e il fatto che fosse oltremodo minuta, aggiunsero voci alle voci.
“C’è la possibilità che non viva” si bisbigliava nelle botteghe.
“Ho sentito che è una strana creatura” mormoravano le comari in chiesa e nelle vie.
“Strana come?”
“Strana!”
Nora non ascoltava. Era troppo felice e aveva troppo da fare: da quando suo marito era morto, campi e bestiame erano passati sulle sue spalle. Doveva occuparsi delle vigne, coltivare l’orto, mantenere pulito il bosco di noc- cioli, tagliare l’erba, badare alle capre, alla scrofa, ai due asinelli, alle oche e alle galline; tenere lontane volpi e faine e allevare Olga.
Le maldicenze erano l’ultimo dei suoi problemi. Olga l’unica gioia. La portava sempre con sé, avvolta in uno scialle, legata sulla schiena. Le spiegava il lavoro della terra, le descriveva gli attrezzi, le svelava i segreti dell’uva buona e della frutta succosa; le raccontava del padre, del nonno, degli zii e degli antenati. E rideva, rideva spesso, nonostante la fatica e le preoccupazioni. E quando Olga fu più grande, madre e figlia ridevano insieme; e alla fine di ogni giornata lasciavano un soldino da qualche parte per un’anima vagabonda: “Senza il loro aiuto non ce l’avremmo fatta, vero, Olga?” diceva mamma Nora tornando verso casa con la zappa sulle spalle.
La domenica andavano a zonzo per la campagna. In estate facevano il bagno alla Pozza Verde, dove l’acqua, a dispetto del nome, era fresca e trasparente. Cercavano nuovi sentieri tracciati dai caprioli e scoprivano angoli segreti, annusavano le erbe aromatiche e mangiavano more e fichi raccolti dagli alberi.
D’inverno si divertivano a riconoscere le orme lasciate nella neve e, se l’anno era rigido, portavano fieno e sale nel bosco per gli animali selvatici; addomesticavano gli scoiat- toli regalando loro noci e nocciole, e raccoglievano legna per la stufa. Fu un periodo molto felice.
A sei anni Olga girava per la campagna da sola. Qualche volta nonna Almida le mandava dietro Valdo, il cane al quale era stato insegnato a badare agli animali della fattoria e a Olga. Con lui la bambina si lanciava in lunghe conversazioni. Gli mostrava le tracce dei lupi e dei cinghiali, gli raccontava sogni e pensieri, chiedendogli spesso consiglio, e lo coinvolgeva nelle sue avventure. A sentire Olga, Valdo era un cane dotto e intelligente, dai modi raffinati e di fini sentimenti.
Olga era, a sua volta, una brava bambina: in classe ascoltava, di sera studiava e leggeva i libri che le dava la nonna, più quelli che prendeva di nascosto dalla piccola libreria, tre ripiani stretti, dietro alla porta d’ingresso.
Le piacevano quelli con le copertine color ramarro o rosso melograno, i titoli in rilievo e le lettere d’oro. Se la storia era avvincente la finiva in una notte, per poi tornare in punta di piedi, all’alba, a riporre il libro al suo posto, prima di andare a dormire.
Dormiva e sognava, e talvolta sognava di dormire tra le pagine del libro che aveva appena letto; sentiva la trama morbida della carta e l’odore dell’inchiostro. Era un sogno che non aveva mai raccontato a nessuno, a parte Valdo. Non lo aveva raccontato neppure ai suoi migliori amici, Mimma e Bruco. A loro, però, soprattutto a loro, raccontava le sue storie…
Tratto da:
Olga Papel è una ragazzina esile come un ramoscello e ha una dote speciale: sa raccontare incredibili storie, che dice d’aver vissuto personalmente e in cui può capitare che un tasso sappia parlare, un coniglio faccia il barcaiolo e un orso voglia essere sarto. Vero? Falso?
La saggia Tomeo, barbiera del villaggio sostiene che Olga crei le sue storie intorno ai fantasmi dell’infanzia, intrappolandoli in mondi chiusi perché non facciano più paura. Per questo i racconti di Olga hanno tanto successo: perché sconfiggono mostri che in realtà spaventano tutti, piccoli e grandi.
Un giorno, per consolare il suo amico Bruco, dal carattere fragile, Olga decide di raccontargli la storia della bambina di carta che un giorno partì dal suo villaggio per andare a chiedere alla maga Ausolia di essere trasformata in una bambina normale, di carne e ossa.
Il viaggio fu lungo e avventuroso: s’imbatté in un venditore di tracce, prese un passaggio da un ragazzo che viveva a bordo di una mongolfiera e da un altro che attraversava il mare remando. Più volte rischiò la vita, si perse, ma fu trovata da un circo. E quando infine trovò la maga, solo allora la bambina di carta comprese quante cose fosse riuscita a fare…
Con un poster in regalo.
Età di lettura: da 12 anni.