Regalo di Natale

Natale si avvicinava e, come ogni anno, le maestre delle prime classi erano alle prese con le letterine che i piccoli scolari intendevano inviare a Babbo Natale. Dopo quattro mesi di scuola a fatica riuscivano a mettere insieme tre parole ma volevano a tutti i costi comunicare direttamente con il generoso vecchietto. Si erano accorti che non sempre i genitori riferivano esattamente all’uomo in rosso le loro richieste e così, a volte, capitava che il regalo sotto l’albero non fosse quello desiderato.

Le maestre li aiutavano a disegnare un rametto di pungitopo o di agrifoglio sul bordo della lettera, convincevano i più fantasiosi a non chiedere un treno, una nave, o un razzo spaziale, correggevano gli strafalcioni. Infine scrivevano sulla lavagna l’indirizzo da copiare con cura: Babbo Natale, Polo nord.

Le buste un tempo venivano consegnate ai familiari che tentavano, per quanto possibile, di soddisfare il desiderio espresso dai piccoli scrittori, da qualche anno però, all’ingresso dei negozi di giocattoli, venivano collocate ammiccanti cassette della Posta di Babbo Natale in cui molti bambini imbucavano fiduciosi le loro letterine. Così i genitori sapevano già dove recarsi per fare le veci del benefattore dei loro figli.

L’ultimo giorno di lezione prima delle vacanze natalizie la folla di mamme e nonne in attesa davanti al cancello della scuola appariva particolarmente impaziente. Carlo, come sempre, si teneva in disparte: da quando era in “cassa integrazione” si occupava della spesa, delle pulizie di casa e del figlio, ma essere il solo uomo giovane tra tante donne lo metteva a disagio. La moglie aveva trovato lavoro in una tavola calda e, bene o male, riuscivano a mettere insieme uno stipendio, ma quasi tutto il denaro che entrava in casa serviva per pagare bollette, mutuo e rate del condominio, senza contare le matite, la plastilina, i pennarelli, i quaderni, gli album e tutte le altre inezie necessarie per la scuola del bambino.

Per fortuna durante le Feste venivano invitati a pranzo da suoceri, genitori e fratelli e, risparmiando sulle spese alimentari, potevano accantonare qualcosa per il regalo del loro Giacomino: ormai aveva sei anni e non si accontentava più dei peluche cinesi comprati sui banchi del mercato.

Finalmente la campanella suonò e lo sciame dei bambini si fuse con il piccolo esercito dei parenti. Giacomino al solito faticò per trovare il padre, nascosto in un angolo: aveva in tasca la sua prima letterina a Babbo Natale, ma non disse nulla. Per arrivare a casa dovevano passare davanti ad un grande negozio di giocattoli e, se non erano in ritardo, il padre lo lasciava curiosare qualche minuto con il naso incollato alla vetrina. Tanto, pensava Carlo, guardare non costa nulla, però rimase di sasso quando vide la manina del figlio infilare di soppiatto una busta nella cassetta di Babbo Natale che troneggiava davanti all’entrata del “Paese dei Balocchi”.

Il 23 dicembre, nel tardo pomeriggio, Carlo si fece coraggio ed uscì per andare al negozio di giocattoli e comprare il regalo che il figlio aveva chiesto a Babbo Natale. Nel portafoglio largheggiavano cento euro, tutto quello che lui e la moglie erano riusciti a risparmiare nelle ultime settimane. Non sapeva esattamente cosa avrebbe dovuto acquistare e sperava con tutto il cuore che la spesa non fosse superiore alle sue disponibilità.

Entrò nel “Paese dei balocchi” con un groppo in gola; la commessa all’ingresso impiegò un po’ di tempo per trovare la lettera di Giacomino: si era firmato Mimmo, ma almeno il cognome era scritto correttamente.

Il negozio, a poche ore dal fatidico passaggio della slitta con le renne, era affollato di adulti e, per essere serviti, occorreva mettersi in fila e pazientare. Carlo si ritrovò accanto ad una signora elegantemente vestita ma dall’aria gentile e socievole: mentre aspettavano, per passare il tempo, scambiarono le solite quattro chiacchiere sull’educazione dei figli, i giocattoli nocivi, i danni prodotti dalla televisione, l’uso del computer, argomenti su cui Carlo barò spudoratamente perché in casa sua non c’erano né pc portatili, né collegamenti Internet, né televisori al plasma con canali satellitari ed anche l’albero di Natale era finto, lo stesso da sei anni. Del resto le cose veramente indispensabili per vivere, ripeteva Carlo alla moglie, erano altre: pane e companatico, scarpe, maglioni, cappotti e un tetto sulla testa.

La signora aveva un figlio della stessa età di Giacomino e non era affatto contenta del regalo che Babbo Natale doveva portare al suo bambino: un robot trasformer guidato da un computer. Personalmente avrebbe preferito comprare un meccano o una scatola di costruzioni, giochi formativi che insegnavano ad usare allo stesso tempo le mani e la testa, ma ormai venivano considerati pezzi da museo. Carlo era della stessa opinione, da bambino costruiva con il Lego piccoli castelli e per ore giocava con i pezzi degli scacchi come fossero davvero re, regine e cavalieri.

“Ha ragione – disse la signora – questi congegni elettronici uccidono la fantasia dei nostri figli. Una volta i bambini riuscivano a creare un intero mondo immaginario con due bambole o qualche soldatino”.

Quando venne il loro turno la signora si rivolse al commesso, un tipo sveglio che trovò subito l’oggetto richiesto; la ragazza che serviva Carlo aveva invece un’aria quasi annoiata, diede un’occhiata alla letterina di Giacomo e, senza dire una parola, andò nel deposito. Carlo notò che il robot trasformer era molto costoso, ma la signora non parve contrariata ed estrasse tranquillamente dalla borsetta una carta di credito.

La commessa tornò dopo qualche minuto con una pista elettrica per automobiline.

“Centoquaranta” disse con tono neutro, spolverando la scatola.

“Non potrebbe farmi un piccolo sconto?” chiese Carlo, pensando ai suoi cento striminziti euro.

“Qui pratichiamo il prezzo fisso, Signore, non ha visto il cartello? E poi guardi, è preso bene perché non è un prodotto nuovo ed ha solo due macchinine. Il modello superiore, uscito quest’anno, con quattro macchine costa 220.”

“E un modello inferiore non lo avete?” Carlo provava un certo disagio perché si era accorto che le persone intorno a lui seguivano con interesse la sua strana trattativa. Anche la signora del robot.

“Ma, scusi, con meno di due automobiline in pista non ci sarebbe gara!” “Beh, allora devo pensarci un attimo.”

“Come vuole, però credo che questo sia l’ultimo pezzo rimasto.”

Il proprietario del negozio si avvicinò con aria gentile per risolvere l’intoppo.

“Qualche problema, Signore?”

“Il Signore vorrebbe uno sconto” disse aspra la commessa.

“Mi spiace proprio ma non è possibile… la scatola però è un po’ rovinata in un angolo. Possiamo togliere cinque euro. Mi creda, trattato bene!”

“Si, ma devo pensarci ancora, prima di decidere” disse arrossendo. Borbottò un saluto e si avviò verso la porta. Il padrone e la commessa lo guardarono con un misto di compassione e disprezzo.

Carlo notò che la signora del robot non c’era più e fu contento di non avere fatto una così magra figura davanti a lei. Ora però non sapeva come dire alla moglie che non aveva comprato il regalo. Non poteva chiedere in prestito trentacinque euro al cognato, gli doveva un cinquantino, e la madre, quella settimana, gli aveva già allungato un po’ di contante tirando il collo alla sua magra pensione.

Uscì dal “Paese dei Balocchi” depresso e umiliato. Fosse stato un collier di diamanti… ma un padre che non può soddisfare il desiderio di un bimbo di sei anni è davvero alla canna del gas.

Si allontanò dalla luce delle vetrine camminando a testa bassa, rasente al muro; fatti pochi passi notò a terra qualcosa di chiaro, una carta arrotolata, si piegò e la raccolse: era la ricevuta di uno dei migliori Salon di parrucchiere della città avvolta attorno a due biglietti da venti euro. Alzò la testa e vide in cima alla strada la signora che aveva incontrato nel negozio: lo stava fissando, poi si voltò e sparì nella vicina piazza, colma di agitati compratori dell’ultima ora.

Carlo respirò due o tre volte a pieni polmoni. Era carità ma fatta con eleganza, si disse.

Rientrò subito nel negozio e cercò di nuovo la commessa. “Allora prendo la pista con le due macchinine.”

“Ha fatto presto a decidere, Signore! Sono 135 euro.”

“No, non voglio lo sconto. Mi dia una scatola senza difetti, sono sicuro che se guarda bene nel deposito la trova” replicò Carlo.

La commessa lo fulminò con un’occhiata, ma andò a prendere una confezione nuova di zecca.

Carlo pagò e uscì con il suo pacco ben confezionato, carta dorata a stelline e lungo nastro svolazzante. Si sentiva un genitore come tutti, un Babbo Natale impeccabile: quello era il regalo che Giacomino si aspettava e la moglie non l’avrebbe guardato con la solita espressione delusa che tirava fuori ogni volta che dovevano privarsi di qualcosa di essenziale.

Camminava   a   testa   alta   tra   la   folla  carica   di   buste   e   pacchetti canticchiando Jingle bells. Era felice.

Rosanna Bogo

Via: I racconti di Scrivolo – www.scrivolo.it

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