La bilancia della giustizia

C’era una volta, in un villaggio, un giudice che aveva fama di essere sempre giusto ed equo. Egli, infatti, aveva una bilancia meravigliosa, grazie alla quale rendeva giustizia meglio di chiunque altro. Ogni giorno il giudice si recava nella piazza del mercato in attesa che i contendenti andassero da lui per esporre le loro ragioni e ricevere una giusta sentenza.

Un giorno, come al solito, il giudice si era appena sistemato con la sua bilancia nella piazza del mercato quando, un giovane si fermò accanto a lui, distese per terra una stuoia, si sedette incrociando le gambe e di spose davanti a sé una bilancia in tutto identica alla sua, restando in silenzio. Dopo poco si presentò davanti al giudice il suo stesso giardiniere.

– Come mai sei qui oggi davanti a me? E dov’è la tua controparte?

Un po’ imbarazzato per la situazione, il povero giardiniere, disse:

– Veramente, signore, la controparte è proprio lei…

Allora, il giudice, piuttosto sorpreso e anche un po’ seccato, rispose:

– E a quale ingiustizia saresti stato sottoposto?

Con un filo di voce, il giardiniere rispose:

– A me piace molto lavorare nel suo giardino e curo le piante come se fossero cuccioli da coccolare, ma con la paga che ricevo, non riesco neppure a sfamare i miei bambini.

Il giudice, benché coinvolto direttamente, fu assolutamente imparziale; ascoltò le lagnanze del suo giardiniere e poi procedette a mettere sui piatti della bilancia le ragioni di entrambi: su un piatto mise il lavoro del giardiniere, sull’altro, le monete ricevute. I due piatti erano in perfetto equilibrio. Quando il giardiniere stava per andarsene, il giovane con l’altra bilancia lo fermò e disse:

– Col permesso del giudice, vorrei pesare anch’io…

Il giudice acconsentì, sicuro dell’equità della sua bilancia. Allora il giovane forestiero mise su un piatto la paga del giardiniere e sull’altro la moglie e i tre figlioletti che egli doveva mantenere: il piatto con le monete era più leggero. Allora, il giovane, aggiunse altre monete facendole suonare sul piatto e disse:

– Giustizia è fatta!» – disse il giovane.

– Che mi sia sbagliato? – pensò il giudice. Mentre ancora rimuginava sull’accaduto, gli si presentarono davanti un padrone col suo schiavo. Lo schiavo aveva le braccia imprigionate da catene, mentre il padrone portava una grossa benda sull’occhio sinistro.

– Eccomi qui, davanti a te, per chiedere giustizia. Non ho voluto castigare io stesso il mio schiavo. Mi rimetto alla tua sentenza!

– Hai fatto bene – disse il guidice – Il castigo che viene dal giudice è giustizia; quello che viene dall’offeso è vendetta».

Il padrone cominciò ad esporre le sue ragioni e disse:

– Questo schiavo mi ha disubbidito e si è ribellato. E, quando ho voluto punirlo, mi ha aggredito con violenza e mi ha accecato un occhio.

Istintivamente, il giudice cominciò a sentenziare secondo la legge del taglione:

– Occhio per occhio… Ma, mentre proferiva la sentenza incrociò lo sguardo del giovane con la bilancia che disse:

– Pesa pure, io peserò dopo.

Allora il giudice pose su un piatto l’occhio accecato del padrone e nell’altro piatto l’occhio che il padrone avrebbe accecato allo schiavo. La legge che recita “occhio per occhio, dente per dente” era molto antica e tante volte il guidice aveva fatto questa pesata. Come sempre, anche questa volta, la pesata fu giusta. Ma, dopo aver assistito al metro di giudizio della bilancia del suo giovane vicino, un dubbio lo tormentava…

– Pesa tu! – disse al giovane.

Il forestiero mise, in un piatto, il crudele castigo del padrone, e nell’altro, tutta la miserabile vita dello schiavo: i maltrattamenti, le offese le giornate di lavoro senza paga, le botte che, in tanti anni, il povero schiavo aveva ricevuto dal padrone senza mai ribellarsi. Il piatto del castigo risultò davvero troppo, ma troppo, pesante.

– Vedi? Dov’è la giustizia in questa sentenza? – disse il giovane forestiero.

Il vecchio giudice capì, in quel momento tante cose e avrebbe tanto voluto ripetere molte delle pesate che fino ad allora aveva fatto con la sua bilancia. Poi, guardò il padrone grasso e iracondo e disse:

–Slega immediatamente il tuo schiavo, dagli da mangiare, dieci monete d’oro e restituiscili la sua libertà!

Il vecchio giudice capì, allora, che la sua bilancia non era più giusta, perché le leggi della sua bilancia erano fondate sul potere e sul valore dei beni materiali, mentre il giovane era stato mandato da Dio per sostituirlo.

– Tu sarai il nuovo giudice – gli disse – sono certo che sarai non sarai solo un giudice equo, ma umano. Prometti di non dimenticarmi. Io ho fatto quello che ho potuto, agendo sempre in buona fede.

– Te lo prometto! – rispose il giovane – Anche per me verrà il giorno in cui qualcuno verrà a dirmi che cosa devo mettere sui piatti della bilancia.

Anche questa storia ci chiede di riflettere intorno ad un valore universale ed eterno: La giustizia. In tutte le culture, in tutti i sistemi filosofici, in tutte le società semplici o complesse l’idea di giustizia è da sempre stata legata ai valori perenni della moralità e della verità senza però che ciò impedisse ed impedisca, ancora oggi, che da un’idea che cerca i suoi puntelli in ideali e valori imprescindibili, discendano rivoli che solcano le vite dei popoli e degli esseri umani di profonde e assolute ingiustizie. Ingiustizie morali, umane, razziali, sociali. Questa storia racconta una giustizia umana e divina al tempo stesso, di un Dio che è di tutti perchè guarda con gli occhi degli uomini, guarda dal punto di vista della fragilità umana. Ricordare le parole di Amartya Sen riguardo alla sua “idea di giustizia” è sicuramente un modo lieve ma disincantato per guardare alle cose del mondo

(Introduzione a cura di Daniela Shawki; Associazione A.M.I.C.I. onlus – Fiaba araba)

Favola tratta da Fiabe per integrarsi 2 – Consiglio regionale della Puglia

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