La Cantastorie varca gli Appennini e ci porta alla scoperta delle Marche, da dove proviene la fiaba “Amor di sale”.
C’era una volta un grande re. Questo re aveva tre figlie e quando rimase vedovo riversò tutto il suo amore su di loro. Passò del tempo e le tre ragazze, vedendo con quanto affetto e premura il padre le cresceva, le istruiva e le proteggeva dai dispiaceri e dalle cattiverie del mondo, fecero del loro meglio per fargli dimenticare il dolore che ancora provava per la scomparsa della moglie.
Ma un giorno, inaspettatamente, il re chiamò la figlia maggiore e le domandò: “Come mi ami, tu, figlia mia?” “Padre mio, ecco, ti amo come il miele”, rispose lei, dopo aver pensato un attimo a cosa ci poteva essere al mondo di più dolce. “Lunga vita a te, figlia mia; e che il Signore mi aiuti a godermi la tua presenza il più a lungo possibile.” E poi chiese alla figlia secondogenita: “E tu come mi ami, figlia mia?” “Come lo zucchero, padre mio.” “Ti auguro tutto il bene di questo mondo, figlia mia; e che il Signore mi conceda a lungo la gioia della tua compagnia.”
Il re fu contento di sentirsi tanto amato dalle due figliole più grandi. Alla fine guardò anche verso la figlia più piccola, che stava timidamente un po’ in disparte, e chiese anche a lei: “E tu, figlia mia, come mi ami?”; “Come il sale nelle pietanze, padre mio!” rispose lei, serenamente, sorridendogli con amore filiale e abbassando la testa e lo sguardo, imbarazzata di dover parlare. Quando le sorelle più grandi sentirono la sua risposta scoppiarono a ridere e voltarono lo sguardo altrove.
E il padre, con le sopracciglia corrugate e molto arrabbiato, la ammonì: “Vieni un po’ qua, sconsiderata, così ci capiremo meglio! Non hai forse sentito con quale amore filiale mi amano le tue sorelle? Come mai non hai pensato anche tu come loro di dirmi quale dolce amore provi per tuo padre? E’ per questo forse che mi sforzo di allevarvi e di istruirvi in modo che nessun altro al mondo possa eguagliarvi?
Vattene da questa casa: tu e il tuo sale!” Quando la povera piccola figlia del re sentì quanto fosse arrabbiato con lei il padre, avrebbe voluto sprofondare nella viscere della terra per aver dato tristezza al genitore, e prendendo il coraggio a due mani, rispose: “Perdonami, padre, io non ho voluto darti dispiacere. Ma ho pensato, con la mia mente, che anche se il mio amore non era pari di quello delle mie sorelle, non era comunque al di sotto dello zucchero e del miele..” “Ma guarda, guarda..” la interruppe il padre, “e osi anche paragonarti alle tue sorelle più grandi? Vai via, figlia impertinente, non voglio neanche più sentirti nominare!” Con queste parole, le chiuse la bocca e la lasciò annegare nelle lacrime. Le sorelle vollero consolarla con parole dolci, ma le fecero più male che bene. La figlia piccola, quando vide che neanche le sorelle avevano pietà di lei, confidò nell’aiuto del Signore e decise di andare là dove lui l’avrebbe guidata. Prese quindi dalla casa paterna solo alcuni vestiti vecchi e trasandati e girovagò da un paese all’altro, finché arrivò alla corte di un altro re.
Arrivata lì, si sedette davanti alla porta del castello. La moglie del cantiniere la vide, andò da lei e le chiese cosa volesse: lei rispose che era solo una povera ragazza orfana di tutti e due i genitori e che voleva andare sotto padrone, se solo avesse trovato un posto. Proprio in quei giorni era andata via la ragazza che aiutava la moglie del cantiniere, e lei ne cercava un’altra. La guardò quindi molto attentamente e la ritenne adatta a quel lavoro, e le chiese quanti soldi volesse; lei rispose che chiedeva solo vitto e alloggio, e così si accordarono facilmente.
Fu presa quindi subito come aiuto. Le disse quel che doveva fare, e le diede un mazzo di chiavi scelte tra le tante che aveva. E siccome aveva mani d’oro per fare la pastella, le conserve, la confettura e le altre cose buone che si possono trovare solo nelle dispense del re, le affidarono la cura delle provviste e dei pranzi di corte. Non si fermava mai in chiacchiere vane con nessuno, ed era diligente e veloce. Fu così che tutti a palazzo cominciarono a rispettarla e a trattarla con gentilezza, e nessuno trovò mai motivo per rimproverarla. […]
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