E’ una notte d’inverno e una gran festa già si prepara in tutta la foresta dove è aspettata – un vero caso strano! – la nascita di un Re, Grande Sovrano. Son d’accordo nel rendersi ospitali per onorarlo tutti gli animali; i quali, convenuti da ogni parte voglion sfoggiare ognun la propria arte. Si apre infatti un’accesa discussione: a chi debba spettare la missione di presentarsi come un grande saggio per porgere al Sovrano un degno omaggio.
Dice il leone: “Certo spetta a me perché della savana sono il re; quando si tratta di importanti affari l’ospite è ricevuto da un suo pari. Sono inoltre il più bello e il più prestante, nei gesti e nell’aspetto il più elegante; ho fauci enormi e una bella criniera che rende d’oro il sole della sera”. “Quanto a eleganza non c’è paragone – ribatte in tono fermo un gran pavone – nulla è più bello – certo non mi sbaglio – delle mie piume spiegate a ventaglio”. “E per la forza – incalza l’elefante – ti batto io, che arbusti e intere piante posso diveller con disinvoltura nel freddo intenso o in mezzo alla calura”. “Io son però del cielo la regina – dice l’aquila – e porto la rovina quando dall’alto in men che non si creda piombo a ghermire la povera preda”.
Poi gettan nella lite nuovi strali, per complicar le cose, altri animali: la volpe, la giraffa, l’usignolo che si mette a cantare mentre è in volo. A non aver pretese sono in due: un asino già anziano e un calmo bue, che si dicon l’un l’altro, rassegnati: “Noi ce ne stiamo qui quieti e beati. Perché il Re possa aver buona accoglienza si vuole imporre ognun con prepotenza; noi non possiamo che star qui a vedere cosa accadrà. Mettiamoci a sedere”.
In quell’istante il figlio di un pastore, agitato ed in preda a gran fervore, giunge di corsa e all’allegra brigata dice implorando a voce dispiegata: “Poc’anzi è nato proprio qui vicino e giace su una greppia un bel bambino; per il gran freddo l’ho visto patire, a scaldarlo qualcuno può venire?” Nella loro contesa indaffarati il pastore respingono indignati gli animali impegnati nella lite. Allora dice al bue l’asino mite:
“Andiamo noi, mettiamoci in cammino per scaldare quel povero bambino, perché per il Gran Re mi pare chiaro ci si riservi solo dell’amaro”.
Felice, asino, sei; tu, bue, beato: umili avete con il vostro fiato scansando le pretese e il parlar vano scaldato in una greppia il Gran Sovrano.
Gregorio Curto