Breve storia di Blu

Blu de Montbisou era una fanciulla molto irrequieta e indipendente. Era nata in una cittadina della Terra del Nord da una famiglia nobile, e i suoi genitori, che si ama- vano e la amavano moltissimo, erano morti quando era ragazzina, affidandola a un manipolo di vecchie zie e tutori severi. La natura l’aveva dotata di un aspetto piacevole, modi franchi, coraggio e intraprendenza; la famiglia le aveva dato denaro e un’ottima educazione – non sempre le due cose vanno insieme, ma nel suo caso sì; e lei per par- te sua era cresciuta curiosa, attenta, vispa, e desiderosa di scoprire il mondo. Una serie di tratti piuttosto insoliti per una fanciulla – o una ragazza – del suo rango. E infatti, una volta raggiunta la maggiore età, invece di farsi sceglie- re un marito come le suggerivano le zie diventate ancora più vecchie e i tutori diventati inutilmente più severi, Blu aveva deciso di viaggiare. E di farlo da sola. Nessuno era riuscito a fermarla, perché era stato semplicemente impossibile. Le aveva viste, le amiche, trasformarsi in spose: le aveva viste cambiare in un baleno, perdere la voglia di ridere e prendere su di sé i doveri delle mogli, rinchiudersi in casa, o in un castello, imparare a ricamare e a tacere. E non le piaceva affatto. «Io mi sposerò per amore, se mai mi sposerò» diceva con orgoglio. «Come mamma e papà.» E le zie scuotevano la testa afflitte. «L’amore non è la soluzione» dicevano. «Anzi, di solito è il problema.» Ma tanto valeva che stessero zitte, perché Blu non le ascoltava. «Per- ché vuoi andare? Perché esporti a mille pericoli? 

Viaggiare, che idea» cercavano di dissuaderla. «Almeno facciamolo con comodo, in carrozza» suggerivano. «Con una di noi come accompagnatrice» insistevano. E lei: «Voi, voi volete trasformare la mia avventura in una gita. Non avete capito. Io voglio vedere il mondo». Dal mondo si aspettava risposte alle grandi domande che si faceva: “Io chi sono? Che cosa ci faccio qui? Qual è, quale sarà la mia storia?” Fino a un certo punto, se si guardava indietro, la conosceva, la sua storia, fatta delle cose già successe: ma dopo? Domani? Dopodomani? «Voglio veder succedere il futuro» diceva.

E le zie: «Avete sempre tutta questa fretta, voi giovani. Il futuro arriva, arriva sempre. Fin troppo presto». Ma lei, essendo giovane, non capiva.

Alla fine era partita con un piccolo bagaglio e la sua cavalla preferita, che si chiamava Azzurra, decisa a scoprire che cosa succedeva nelle Terre dell’Est e nelle Terre dell’Ovest, e anche in quelle del Sud, se mai ci fosse arrivata. Appesa alla vita teneva una saccoccia piena di monete d’oro. Quando aveva bisogno di qualcosa di nuovo lo comprava. Dormiva nelle locande, trottava lungo le strade e andava al passo quando le strade non c’erano, si godeva il mondo che le scorreva intorno. Osservava le cose, la natura, le persone con sincera curiosità; correva incontro al futuro con la testa nel vento e la fretta di vederlo diventare presente, subito, subito, adesso. Ma non succedeva niente di strano. Sì, Blu faceva incontri, parlava con le persone, vedeva paesaggi e cieli che non aveva mai visto; ma sembrava che il futuro non avesse fretta di raggiungerla. “Tutto qui?” si diceva. “Il mondo è fatto solo di città e campagne, e villaggi e altre campagne e montagne? Non ha niente per me? Non ha niente da dirmi?” Quando queste domande diventavano troppe lanciava Azzurra al galoppo, si faceva frustare dall’aria veloce, sentiva il freddo sulle guance e le lacrime gonfiarle gli occhi, e allora, solo allora, dimenticava tutti i suoi dubbi e si sentiva bene.

Un giorno che si trovava in una landa dell’Ovest e stava correndo in una pianura verdissima sentì l’aria vicino a lei spostarsi e come scaldarsi: gettò un’occhiata al proprio fianco e vide che le si era accostato un cavaliere che montava un cavallo nero. Azzurra, che adorava le sfide quanto la sua padrona, lo seminò; e cavallo e cavaliere le riprese.

Il gioco, la corsa andò avanti così per un pezzo, fino a quando fu Blu, preoccupata che Azzurra non reggesse lo sforzo, a chiederle di rallentare con un gesto lieve. Subito la cavalla obbedì, e il cavallo nero col suo cavaliere fecero un breve tratto da soli prima di rendersi conto di quello che era successo, rallentare a loro volta e tornare indietro.

Blu intanto si era fermata, era scivolata giù dalla sella e accarezzava il collo sudato di Azzurra mormorandole paroline dolci all’orecchio. «Perdonate, signorina» disse una voce profonda che la fece sussultare. «Non volevo spaventare né voi né la vostra cavalla.»

Blu si voltò di scatto, pronta a rispondere che lì non c’era nessuno di spaventato: e le parole le si spensero sulle labbra. Davanti a lei c’era un uomo alto, forte, scuro, con i capelli lunghi, occhi di lampi e un sorriso che danzava dentro la barba scura. Forse per via della barba non si accorse che era un sorriso strano, forte, quasi crudele: vide solo il bianco bianchissimo dei denti, e ne fu affascinata. Si riprese, però, tanto da riuscire a dire: «Stiamo benissimo, noi due». Ed era vero, perché Azzurra vibrava ancora della gioia della corsa, e lei provava una strana sensazione di calore nel guardare quello sconosciuto che le parlava, e se avesse potuto vedere la scena dall’alto, come un uccello posato su un ramo, si sarebbe accorta che era perfetta, da sembrare disegnata o dipinta: un uomo scuro, una fanciulla chiara, un cavallo nero, una cavalla bianca.

«Come vi chiamate, signorina?» chiese l’uomo con un mezzo inchino.

«Blu» rispose lei semplicemente.

L’uomo allora scoppiò a ridere. Blu non capiva che cosa ci fosse di tanto buffo nel suo nome: insolito, certo, ma ridicolo no. La risata dell’uomo però era irresistibile, e alla fine anche Blu si ritrovò a ridere. “Mi prenderà per una sciocchina” si disse. “Ma mi sento così bene. Non mi sono mai sentita così.”

Quando la lunga risata dell’uomo morì, lui chinò il capo in un altro mezzo inchino e disse, senza perdere il sorriso: «Io sono Barbablù».

«Bizzarro» disse Blu con una certa meraviglia. Poi si morse il labbro: non avrebbe potuto trovare qualcosa di più intelligente da dire?

«Già» disse l’uomo, anzi, Barbablù.

«E che cosa ci fa una signorina Blu da sola nella pianura?»

«Non sono sola» rispose Blu. «Ho Azzurra con me.» E carezzò il muso della sua cavalla.

«Il mio stallone si chiama Nero» disse Barbablù. «I colori ci uniscono, a quanto pare.» E Blu pensò che era una cosa insolita, e bella. «Vengo da lontano e vado lontano» aggiunse in risposta alla domanda di Barbablù.

«Io invece penso che siate arrivata» disse Barbablù, prendendo la cavezza di Azzurra. Blu provò un brivido, come se la mano guantata dell’uomo si fosse posata sulla sua guancia, o sul polso. Ne sentì la pressione. Il futuro si sciolse nel presente: era tutto lì. E capì all’istante che sì, quell’uomo aveva ragione: era arrivata.

Non sapeva ancora dove.

Questo è il secondo capitolo del libro…

BLU, un’altra storia di Barbablù
Tutte le fiabe sono inquietanti, molte mettono paura. «Barbablù» è di certo una delle più potenti: una macchia di sangue su una chiave d’oro, le mogli uccise e appese come mantelli ai ganci nella segreta, e tutto ciò, come succede nelle fiabe, senza che ne sappiamo il perché.
Questa riscrittura cerca proprio di dar conto delle ragioni che inducono il protagonista a fare quello che fa. Almeno finché non entra in scena Blu, l’ultima moglie, la sola destinata a sopravvivere contando sulle proprie forze, sull’acume, sulla rapidità di pensiero e d’azione, sulla capacità di dedurre e collegare gli indizi.
Blu e Barbablù giocano al gatto e al topo per tutta la storia: soltanto che non si sa chi sia il gatto e chi sia il topo.
Età di lettura: da 9 anni.

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