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Guido Gozzano – Il Reuccio Gamberino

Tre giorni ancora e il Reuccio Sansonetto compiva di­ciottenni, età che, secondo le leggi del regno, gli per­metteva di togliere moglie. Egli stava ad una loggia del palazzo reale, raggiante ed impaziente di sposare Bian­cabella reginetta di Pameria, con la quale era fidanzato fin dall’infanzia. Ingannava il tempo mangiando ciliege e scagliando i noccioli sui passanti, con una piccola fionda. I beffati alzavano il volto incolleriti, ma l’inchi­navano tosto, ossequiosi, appena riconoscevano il reale schernitore.

E il Reuccio rideva e i cortigiani ridevano con lui. Passò una vecchina dai capelli candidi, dal naso enorme e paonazzo e il Reuccio cominciò a berteggiarla:

E come l’ebbe a tiro la colpì con un nocciolo sul naso. La vecchietta si grattò il naso dolente, si chinò tremante, raccolse, strinse il nocciolo tra il pollice e l’indice e lo rinviò all’erede al trono. Le grida sdegnate della Corte scagliarono cento guardie sulle tracce della strega Nasu­ta, ma quella aveva svoltato l’angolo della via, ed era scomparsa. Al tocco aspro del nocciolo il Reuccio San- sonetto vacillò, come preso da vertigini; poi cominciò a ridere, premendosi gli orecchi con le mani.

I cortigiani lo guardavano sbigottiti ed inquieti:

E il Reuccio rideva, rideva senza poter rispondere.

La Corte lo credeva ammattito. Quando poi fece per muoversi e lo videro camminare a ritroso, tutti scoppia­rono dalle risa.

E rideva, e per quanto tentasse di avanzare il piede non gli riusciva di fare un passo innanzi, ed era costretto a retrocedere come un gambero. Poi riprendeva a pre­mersi gli orecchi, a chiudere gli occhi, come preso da vertigini.

E i cortigiani ridevano ed egli rideva con loro…

E tutti lo credevano ammattito.

II

Ma non era ammattito. I più famosi medici del regno constatarono veramente che il Reuccio Sansonetto rin­giovaniva. Era una malattia nuova e inesplicabile, con­tro la quale la scienza non aveva rimedio. Il Reuccio ringiovaniva. Compì i diciassette, poi i sedici, poi i quindici anni. Prese a decrescere di giorno in giorno, scomparvero i piccoli nascenti baffetti biondi. Il suo volto riacquistava un aspetto sempre più fanciullesco. Sansonetto era disperato.

Le nozze di Biancabella di Pameria erano state con­tramandate, poi rotte del tutto. Il Re di Pameria aveva ri­tirato la mano della figlia.

Biancabella fu costretta dal padre a rendere il suo anello di nozze; ma congedandosi piangeva, e promise a Sansonetto eterna fedeltà.

III

Sansonetto era disperato. Correva a ritroso per le stanze e pei giardini reali, piangendo, strappandosi le chiome bionde. Bisognava rintracciare la vecchietta bef­fata, supplicarla di ritornarlo a diciottenni, di risanarlo da quella malìa. Il Re e la Regina avevano fatto un ban­do con mezzo il regno di premio per chi desse notizie della vecchietta che aveva incantato il figliuolo. Ma nes­suno l’aveva più vista.

Sansonetto andava sovente a caccia, per distrarre la sua malinconia. Galoppava a ritroso, perché la malìa gamberina s’appiccicava pure alla sua cavalcatura.

Un giorno il Reuccio giunse in un bosco, e vide tra gli abeti centenari una casetta minuscola, con una sola por­ta e una sola finestra. E alla finestra riconobbe il volto della vecchietta che lo guardava sorridendo. Sansonetto s’inginocchio sulla soglia.

Sansonetto ritornò a palazzo. Ma come ritrovare pro­prio il nocciolo di quattr’anni prima?… Pensò di pren­derne uno qualunque, lo portò nel bosco, lo fece vedere sulla palma della mano. La vecchietta l’osservò dalla fi­nestra.

Si ricordava confusamente d’averlo visto rimbalzare nel rigagnolo della via.

Seguì il rigagnolo fin dove questo metteva foce nel torrente. Ma innanzi a quelle spume turbinose si sentì prendere dallo sconforto. Una libellula passò, librandosi su di lui con bagliori di smeraldo.

Lo chiamavano già bambino! Come ringiovaniva in fretta!… Sansonetto sospirò:

Sansonetto si pose in cammino, seguì il torrente fino al fiume, il fiume fino al mare. Dinanzi a quell’azzurro infinito la speranza gli cadde dal cuore e si abbandonò sulla spiaggia. Piangeva e guardava le onde accartoc­ciarsi ribollendo; e le lacrime gli cadevano nell’acqua, ad una ad una.

Era un’asteria, una stella di mare che strisciava lentis­sima sulla sabbia d’oro.

Il Reuccio attese tre giorni. Apparve il fenicottero bianco e roseo, sulle due gambe lunghissime.

Il Reuccio s’imbarcò su una galea di mercanti e giun­se dopo sette settimane in Soria. Ma quando chiedeva del gigante Marsilio, la gente lo guardava stupita e im­pallidiva.

E il Reuccio Sansonetto proseguiva la via. Giunse al regno del gigante Marsilio.

A picco nella valle dominava il Castello dalle Cento Torri; si stendevano sotto i giardini immensi circondati da alte mura, e attorno biancheggiavano le ossa dei te­merari che avevano sfidato il mostro.

Sansonetto suonò il corno di sfida, invitando il gigan­te a battaglia.

Una delle porte immense si aprì e apparve il gigante seminudo e senz’arme.

Come vide il Reuccio sorrise di scherno.

Questi si scagliava a ritroso volteggiando la sua spada affilata; tagliava ora un braccio, ora una mano, ora il naso, ora il mento del gigante, ma il gigante si chinava tranquillo, raccattava il pezzo amputato rimettendolo a segno.

Sansonetto mirava alla testa, spiccando salti sul suo cavallo focoso. Già due volte glie l’aveva fatta cadere, ma il mostro si chinava, la raccoglieva, la riappiccicava all’istante sulle spallacce robuste. Una terza volta il Reuccio glie la troncò; e appena in terra fu pronto a spingerla con le due mani sull’orlo d’un declivio, roto­landola a valle. Poi si mise a cercare in fretta il capello verde nella folta chioma rossa. Sentiva alle spalle il mo­stro decapitato che correva, brancolando qua e là; lo sentiva avvicinarsi, e cercava e non trovava il capello micidiale. Allora trasse la spada, rasò in pochi colpi la testaccia dalla fronte alla nuca; e il capello verde fu reci­so con tutta la chioma. La testa impallidì, gli occhi det­tero un guizzo spaventoso e il gigante che brancolava all’intorno, cadde con un tonfo sordo. Era morto.

IV

Il Reuccio Sansonetto ebbe libero il passo nel regno di Marsilio. Cercò nei giardini; trovò il luogo indicato dal fenicottero.

Ma in cinque anni il nocciolo era diventato un cilie­gio altissimo, tutto carico di frutti rossi e lucenti come rubini.

Sansonetto ne mangiò uno, poi un altro, e un altro an­cora; e osservò i noccioli, e ogni nocciolo portava inciso attorno: “grano dell’irriverenza”…

Ad un tratto il Reuccio ebbe come una specie di verti­gine e socchiuse gli occhi.

Quando li riaprì si trovò dinanzi alla casetta della Fata Nasuta e la vecchietta gli sorrideva.

Si guardò, si palpò, era ritornato come alla vigilia del­le nozze, con la sua alta statura diciottenne e i piccoli nascenti baffettini biondi. Provò a dare qualche passo: era risanato dalla buffa andatura gamberina.

Il Reuccio baciò la buona fata, ma sentiva l’anello do­natogli da Biancabella di Pameria stringergli il dito.

Sansonetto s’armò di tutto punto e partì di gran galop­po.

Sentiva l’anello stringergli, stringergli il dito sempre più…

Giunse in Pameria e vide la capitale imbandierata e festante. Chiese perché.

— Da una settimana è aperto un torneo a Palazzo Reale. Il Re ha imposto alla figlia la scelta d’uno sposo. E cento cavalieri si contendono la mano di Biancabella. Ma v’è un cavaliere sconosciuto che li abbatte tutti; e si prevede che pel tramonto di quest’oggi avrà sbaragliato i rivali.

Sansonetto accorse alla giostra, scese tra gli spettato­ri. Il cavaliere misterioso, tutto rivestito di una corazza d’acciaio chermisi, stava sbalzando di sella l’ultimo av­versario e già il popolo lo proclamava di diritto sposo di Biancabella. Ma Sansonetto calò la visiera e, fra lo stu­pore generale, scese in lizza. Ed ecco che al primo colpo di Sansonetto l’invincibile campione chermisi dà suono metallico e cupo e cade disteso.

Fu scosso, rialzato, aperto. Era vuoto.

Il cavaliere chermisi era una semplice corazza che la buona Fata Nasuta aveva animata d’uno spirito benigno e inviata alla giostra per sopprimere gli altri combattenti e dar modo al Reuccio di giungere in tempo. Il Reuccio Sansonetto alzò la visiera, e s’inchinò sugli arcioni, di­nanzi alla loggia della sposa. Biancabella quasi venne meno dalla gioia improvvisa; e il Re abbracciò come fi­gliuolo il giovinetto risanato.

Furono celebrate nozze splendidissime.

E i noccioli favolosi, seminati nei giardini reali, creb­bero con gli anni e formarono un boschetto detto dell’”irriverenza”.

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