L’uomo verde d’alghe

Un Re fece fare una grida nelle piazze che, a chi gli avesse riportato la sua figlia sparita, gli avrebbe dato una fortuna. Ma la grida non aveva effetto perché nessuno sapeva dove poteva essere andata a finire questa ragazza: l’avevano rapita una notte e non c’era posto sulla terra che non avessero frugato per cercarla.

A un capitano di lungo corso venne l’idea che se non si trovava in terra si poteva trovare in mare, e armò una nave apposta per partire alla ricerca. Ma quando volle ingaggiare l’equipaggio, non trovava marinai: perché nessuno aveva voglia di partire per un viaggio pericoloso, che non si sapeva quando sarebbe finito.

Il capitano era sul molo e aspettava, e nessuno s’avvicinava alla sua nave, nessuno osava salire per primo. Sul molo c’era anche Baciccin Tribordo che era conosciuto come un vagabondo e un uomo da bicchieri, e nessuno lo prendeva sulle navi. «Di’, ci vuoi venire tu, sulla mia nave?», gli fece il capitano.

«Io sì che voglio.»

«Allora sali», e Baciccin Tribordo salì per primo. Così anche gli altri si fecero coraggio e salirono a bordo.

Sulla nave Baciccin Tribordo se ne stava sempre con le mani in tasca a rimpiangere le osterie, e tutti brontolavano contro di lui perché il viaggio non si sapeva quando sarebbe finito, i viveri erano scarsi e dovevano tenere a bordo un fa-niente come lui. Il capitano decise di sbarazzarsene. «Vedi quell’isolotto?», gli disse, indicandogli uno scoglio, isolato in mezzo al mare. «Scendi nella scialuppa e va’ a esplorarlo. Noi incrociamo qui intorno.»

Baciccin Tribordo scese nella scialuppa e la nave andò via a tutte vele e lo lasciò solo in mezzo al mare. Baciccin s’avvicinò allo scoglio. Nello scoglio c’era una caverna e lui entrò. In fondo alla caverna c’era legata una bellissima ragazza, ed era la figlia del Re. «Come avete fatto a trovarmi?», disse a Baciccin Tribordo.

«Andavo a pesca di polpi», disse Baciccin.

«E un polpo enorme che m’ha rapita e mi tiene prigioniera» disse la figlia del Re. «Fuggite, prima che arrivi! Ma dovete sapere che questo polpo per tre ore al giorno si trasforma in triglia, e allora è facile pescarla, ma bisogna ammazzarla subito perché altrimenti si trasforma in gabbiano e vola via.»

Baciccin Tribordo si nascose sullo scoglio, lui e la barca. Dal mare uscì il polpo, ed era enorme e con ogni branca poteva fare il giro dell’isola, e s’agitava con tutte le sue ventose, perché aveva sentito che c’era un uomo sullo scoglio. Ma venne l’ora in cui doveva trasformarsi in pesce e tutt’a un tratto diventò una triglia e sparì in mare. Allora Baciccin Tribordo gettò le reti e ogni volta che le tirava c’erano dentro muggini, storioni, dentici e alla fine apparve, tutta sussultante, anche la triglia. Baciccin levò subito il remo per darle un colpo per ammazzarla, ma invece della triglia colpì il gabbiano che s’era levato in volo dalla rete, e la triglia non c’era più. Il gabbiano non poteva volare perché il remo gli aveva rotto un’ala, allora si trasformò in polpo, ma aveva le branche tutte piene di ferite e buttava fuori un sangue nero. Baciccin gli fu sopra e lo finì a colpi di remo. La figlia del Re gli diede un anello con diamante in segno di perpetua gratitudine.

«Vieni, che ti porto da tuo padre», disse lui, e la fece salire nella barca. Ma la barca era piccola, ed erano in mezzo al mare. Remarono, remarono, e videro lontano un bastimento. Baciccin alzò in cima a un remo la veste della figlia del Re. Dalla nave li videro e li presero a bordo. Era la stessa nave da cui Baciccin era stato abbandonato. A vederlo tornare con la figlia del Re il capitano cominciò a dire: «O povero Baciccin Tribordo! E noi che ti credevamo perduto, t’abbiamo tanto cercato! E tu hai trovato la figlia del Re! Beviamo, festeggiamo la tua vittoria!». A Baciccin Tribordo non sembrava vero, tanto tempo era rimasto senza assaggiare un goccio di vino.

Erano già quasi in vista del porto da cui erano partiti. Il capitano fece bere Baciccin, e lui bevve, bevve fino a che non cascò ubriaco morto. Allora il capitano disse alla figlia del Re: «Non direte mica a vostro padre che chi v’ha liberato è quell’ubriacone! Dovete dirgli che vi ho liberato io, perché io sono il capitano della nave, e quello là è un mio uomo che ho comandato io di fare quello che ha fatto.»

La figlia del Re non disse né sì né no. «So io quel che dirò», rispose. E il capitano allora pensò di farla finita una volta per tutte con Baciccin Tribordo. Quella stessa notte lo presero, ubriaco com’era e lo buttarono in mare. All’alba il bastimento arrivò in vista del porto; fecero segnali con le bandiere che portavano la figlia del Re sana e salva, e sul molo c’era la banda che suonava e il Re con tutta la Corte.

Furono fissate le nozze della figlia del Re con il capitano. Il giorno delle nozze nel porto i marinai vedono uscire dall’acqua un uomo coperto d’alghe verdi dalla testa ai piedi, con pesci e granchiolini che gli uscivano dalle tasche e dagli strappi del vestito. Era Baciccin Tribordo. Sale a riva, e tutto parato d’alghe che gli coprono la testa e il corpo e strascicano per terra, cammina per la città. Proprio in quel momento avanza il corteo nuziale, e si trova davanti l’uomo verde d’alghe. Il corteo si ferma. «Chi è costui?», chiede il Re. «Arrestatelo!» S’avanzano le guardie, ma Baciccin Tribordo alzò una mano e il diamante dell’anello scintillò al sole.

«L’anello di mia figlia!», disse il Re.

«Sì, è questo il mio salvatore», disse la figlia, «è questo il mio sposo.»

Baciccin Tribordo raccontò la sua storia; il capitano fu arrestato. Verde d’alghe com’era si mise vicino alla sposa vestita di bianco e fu unito a lei in matrimonio.

I. Calvino, L’uomo verde d’alghe, in Fiabe italiane, Milano, Mondadori, 1993

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