J. Iccapot – Vigilia d’Ognissanti

Laura entrò in casa all’improvviso, insieme a uno sbuffo di freddo.

“Ciao Zio!” esclamò, sorpresa della presenza di Mauro in salotto, lui e la mamma si vedevano di rado. Corse ad abbracciarlo e a schioccargli due baci sulle guance, senza neppure togliersi la sciarpa, rosso sangue, e il giaccone.

“Ciao, Nipote!”, rispose Mauro; era contento di vederla, ormai si era fatta una bella ragazza e i capelli corti, folti e biondi sottolineavano la figura slanciata; era una sportiva di valore ma aveva anche un ottimo curriculum scolastico; quest’ultima cosa riempiva Mauro di orgoglio, anche se non lo dava a vedere. “Ha preso da me” ripeteva comunque ad ogni occasione, alludendo ai poco brillanti trascorsi scolastici della sorella.

Laura non chiese allo zio perché fosse in visita, ma tornò verso l’ingresso, che immetteva nel grande salone col camino, per appropriarsi di un bustone di carta da cui sbucavano pacchetti e strani oggetti in plastica.

“Hai trovato tutto?” le gridò dietro la mamma, mentre la ragazzina, spostato il pacco nella sua cameretta, entrava in cucina, da dove lanciò un “Sììììììì” col tono che hanno tutti gli adolescenti quando vogliono dire ai propri genitori “Uff, non scocciare, sono grande ormai!”

“La roba per Halloween”, spiegò la mamma al fratello. “Ancora Halloween, alla sua età?”, rispose ad alta voce Mauro, perché la nipote lo potesse sentire dalla cucina. “Ha Ha”, gli rispose Laura; la sentirono armeggiare col timer del microonde.

“Questo è il tipo di americanata che proprio non sopporto – osservò Mauro – ci sarà mai stato bisogno di festeggiare e fare gli stupidi, in queste giornate così tristi? Tutto il peggio delle abitudini americane ci si attacca come una gomma masticata sotto la suola di una scarpa.”

“Bell’esempio, zio”. Laura fece capolino: “Papà quando arriva?”. Era appena scomparsa che, puntuale come uno statale, Leonardo entrò in casa, sbuffando. “Che giornata…” Posò la sua cartella su una poltroncina all’ingresso e andò a salutare il cognato e poi si sprofondò, con tutto il suo peso, in una delle poltrone accanto alla moglie. “Laura c’è?” chiese alla moglie. Lei non ebbe neppure il tempo di rispondere perché la figlia rientrò con un vassoio in cui aveva messo tre mele caramellate, con il loro regolare bastoncino, dei tovagliolini e delle forchettine da dolce; Mauro sapeva che la nipote conosceva il suo disagio a mangiare i cibi usando le mani e apprezzò l’attenzione. “Le ho fatte stamani per portarle a scuola e ne ho lasciate un po’ per noi, scommetto che mamma non te le aveva offerte”. Lo zio, impavido, disteso il tovagliolino sui pantaloni, aveva preso in mano lo stecco e cominciava ad addentare la mela, la sorella e il cognato non furono da meno.

“State attenti, perché sono avvelenate!” disse in tono scherzoso Laura, scappando di nuovo nella sua cameretta, “Strega!” le gridò Mauro, la bocca piena. Laura doveva prepararsi per la festa, truccarsi e vestirsi: passò almeno un’ora fra il bagno e la sua cameretta. Quando fu finalmente pronta per uscire si affacciò nel salone; lo zio e i genitori stavano sonnecchiando; piano, piano uscì di casa col suo vestitone nero e con un cappellaccio dalle falde gigantesche, cercando di non far rumore.

La festa era al solito un caos; Laura e i suoi compagni e compagne dell’Istituto Tecnico Sperimentale di Elettronica si stavano divertendo nella confusione da sabba che avevano ricreato nel locale preso in affitto solo per loro ed i loro amici; non volevano estranei nel loro territorio ed i genitori, lieti di assecondare la scelta “giudiziosa” dei figli, avevano sborsato più che volentieri la sostanziosa quota per l’affitto della sala.

Verso mezzanotte Laura si appartò per chiamare casa. Voleva sapere come stavano andando le cose in famiglia; sollevò il cappellone da strega e stette a lungo con l’orecchio incollato al cellulare. Il telefono di casa suonava a vuoto. “Va tutto bene, allora!” pensò sorridendo tra sé. Rimise il telefonino in una tasca della gonna nera e tornò, più scatenata di prima, a far baldoria con i suoi amici.

Poco dopo le due Cinzia, la sua amica del cuore, e Marco, il suo fidanzato, la riaccompagnarono a casa: abitava in una villetta isolata, quasi in campagna, in mezzo al verde di alberi e siepi.

A poche centinaia di metri dalla stradina privata che portava alla casa di Laura, cominciarono a sentire odore di bruciato: i fari illuminavano una nube di fumo e polvere che riempiva l’aria. Poi videro i lampeggianti dei pompieri e di un’auto della polizia.

Marco fermò l’auto a distanza, non occorreva fare domande: i pompieri stavano scavando tra le macerie della villetta. I ragazzi scesero: “Oddio!” ebbe appena il tempo di gridare Cinzia, che aveva capito tutto, e corse ad abbracciare Laura, per fermarla nella corsa verso la casa.

“Ma cosa è successo, ci sono feriti?” chiese, preoccupato, Marco ad un poliziotto.

“E’ amica sua? Forse è meglio se la portate via”. “Ma quando è accaduto?”

“Poco dopo mezzanotte, forse è stato un guasto all’impianto di riscaldamento, la casa è saltata in aria: doveva essere piena di gas, chi era dentro sarà rimasto intontito, incapace di muoversi, anche se erano persone abbastanza giovani. Li hanno trovati tutti e tre vicini, si direbbe seduti in un salotto; semi carbonizzati, e poi con il secondo piano della casa che gli è crollato addosso…. non c’è stato niente da fare. Si è salvato solo il cane, era nella cuccia vicino al garage.” Rispose il poliziotto.

Marco era sconvolto, Cinzia si faceva forza per fare coraggio a Laura; nel frattempo era arrivata un’ambulanza ed una giovane dottoressa si mise a parlare fitto, fitto con i ragazzi, prendendo Laura sotto braccio.

“La parte più difficile viene qui” pensò Laura “devo stare attenta, devo essere più addolorata, quasi fuori di me”.

“Certo, è andato tutto come previsto, il sonnifero nelle mele li ha fatti addormentare profondamente e il gas che avevo lasciato aperto ha fatto il resto. Chissà cosa è stato a far saltare tutto, forse una telefonata…” Laura fece attenzione, camminando abbracciata alla dottoressa, a non far vedere il risolino di soddisfazione che solo per un attimo increspò le sue labbra. Si mise a piangere disperata, in modo molto, molto convincente.

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