Le righe della zebra

VERSIONE SEMPLIFICATA

La protagonista della storia è una zebra.
La zebra vive dentro una gabbia dello zoo.
La zebra si vergogna della sua pelliccia: le righe nere e bianche sono tanto brutte!
Un giorno la zebra vede un cavallo.
Il cavallo ha il manto con il pelo chiaro, biondo.
La zebra trova il cavallo molto bello.
Lei vede se stessa tanto brutta.

Allora la zebra piange per un giorno e una notte.
La zebra è sempre triste.
Poi un giorno parla con gli altri animali e fa questa scoperta:
tutti gli animali sono tristi come lei, tutti gli animali si
vergognano come lei.
Tutti gli animali dicono: “Io sono brutto!”
La giraffa trova brutto il suo collo lungo.
La gru trova brutte le sue gambe magre.
La foca non sopporta i suoi baffi.

Il leopardo lecca le macchie della sua pelliccia: vuole cancellare quelle brutte macchie.
Nessun animale dello zoo è contento.
Allora la zebra dice a se stessa: “Per fortuna la mia
pelliccia ha le righe bianche; per fortuna la mia pelliccia
non è tutta nera!”
Così, poi, la zebra mostra contenta le sue righe bianche.

VERSIONE COMPLETA

C’era una zebra che si vergognava moltissimo delle sue righe nere, avrebbe preferito essere un cavallo. La zebra stava dentro una gabbia dello zoo e, quando c’era il sole, alle righe della pelliccia si sovrapponevano le righe delle sbarre di ferro.
Qualche volta appariva con le righe doppie, ma quando il sole era alto e lei si metteva di traverso, le righe delle sbarre formavano con le sue tanti piccoli quadrati.

Se apparire con la pelle a righe la faceva vergognare, la pelle a quadretti la faceva addirittura andare in bestia. E allora si metteva a fare dei versacci che spaventavano le genti che giravano per lo zoo a curiosare. Un giorno che vide passare un cavallo con il suo manto lucente e biondo, la zebra si mise a piangere e pianse per un giorno e una notte. La zebra si sentiva molto triste e così, mentre era sempre stata scontrosa e solitaria, incominciò a chiacchierare con i vicini.

Scoprì che la giraffa si vergognava come una giraffa per via del collo troppo lungo, che l’ippopotamo non era per niente contento del suo muso quadrato, che la gru non avrebbe voluto avere delle gambe così stecchite perciò appena poteva ne nascondeva una sotto l’ala, che le foche non avrebbero voluto avere i baffi, che l’aquila invidiava la voce dell’usignolo, che il leopardo passava le giornate a leccarsi le macchie della pelliccia sperando di cancellarle, che i serpenti erano pieni di complessi perché non avevano le gambe, che l’elefante si vergognava di avere la coda al posto del naso. Insomma non c’era animale dello zoo che fosse contento di se stesso.

La zebra si prese la testa fra le zampe e si concentrò sulle sue righe nere. Dopo molto pensare decise che lei purtroppo non era un animale bianco con le righe nere, ma un animale nero con le righe bianche. Allora è molto meglio essere un animale a righe piuttosto che un animale nero, si disse, e da quel momento si mise l’animo in pace e portò le sue righe bianche con grande disinvoltura.

Luigi Malerba, Storiette tascabili, Einaudi

Brevi storielle semplici, come esempi dell’inverosimile e acuta stupidità umana. Piene della migliore comicità di Malerba. I personaggi pensano molto ma pensano solo coglionerie, e spesso coglionerie ingegnose: Agrippone che cerca di produrre maiali a sei zampe; il bambino Tonino che fa l’anarchico per raggiungere all’inferno lo zio; Cesarino che non sopporta il passato remoto ma vive bene lo stesso; e poi il dirottatore di treni, il pittore che dipinge i rumori, e così via. Ma è una comicità piena di benevolenza verso questi stupidi eccentrici e la loro superiore stupidità.

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