Il canto di Orfeo

Nel tempo lontano in cui le cose nel mondo si andavano formando accadde un fatto strano, molto strano.
Un bambino, appena uscito dalla pancia della mamma, invece di piangere e urlare, fin dal suo primo respiro cominciò a cantare.

Cantava in un modo cosi particolare che gli uccelli che volavano lì intorno si appollaiarono al bordo della sua culla e si misero ad ascoltare. C’è chi dice che fu allora che gli uccelli cominciarono a cantare, imitando quel neonato dalla voce piena di melodia, e chi sostiene invece che fu Orfeo che imparò a cantare intrecciando la sua voce ai gorgheggi di tutti quegli uccelli arrivati dal cielo.

Orfeo cantava così bene che, quando cominciò a crescere e a camminare, era sempre circondato da ogni sorta di animali e da ragazze e ragazzi, che lo seguivano ovunque per ascoltare la sua voce. Raccontano che quando passeggiava lungo il mare anche i pesci saltavano fuori dall’acqua per ascoltare il suo canto. Persino gli alberi, commossi da quel suono, si sollevavano da terra di nascosto e la notte lo seguivano camminando silenziosamente sulle punte delle loro radici.

Alcuni dicono che persino i sassi e le montagne si muovevano piano piano per seguirlo, e questo deve essere vero perché la regione della Grecia in cui viveva, che si chiama Tessaglia, ancora adesso è piena di alberi e montagne.

Quando crebbe e si fece ragazzetto, Orfeo si innamorò di una ragazza di nome Euridice. Euridice aveva lo sguardo dolce ed era esile e leggera. Quando correva verso Orfeo sembrava volasse come gli uccelli che lo seguivano da quando era nato.

Orfeo cominciò a cantare il suo amore in modo cosi struggente, cosi coinvolgente, che donne e fringuelli, asini e gazze, cervi e tartarughe, insieme a vecchi contadini, scoiattoli, ghepardi, serpenti e pastori con le loro greggi lo seguivano per godere del suo canto, accompagnati a volte da qualche nube, che si srotolava nel cielo per bagnare di pioggia sottile quello strano corteo.

Il canto di Orfeo innamorato era cosi appassionato e pieno di armonia da infondere buon umore in chi lo ascoltava. Come la brezza di vento frizzante che viene dal mare al mattino, la sua musica spirava con forza e faceva ridere e piangere e danzare tutti la danza del suo amore.

Euridice era felice di tanta espansione contagiosa di allegria, ma un pomeriggio d’autunno, mentre lo seguiva, incrociò lo sguardo di un ragazzo che si rattristò al passaggio di Orfeo. Vedere quel ragazzo rabbuiarsi e fremere di rabbia dispiacque a Euridice, che era molto sensibile e desiderava che nessuno soffrisse.

Il ragazzo si chiamava Aristeo ed era innamorato anche lui di Euridice.

Non poteva tollerare l’amore e la gioia che circondava il suo rivale, tanto che una notte, morso da una gelosia che non lo faceva respirare, decise di rapirla. Così si appostò vicino alla sua casa e attese tutta la notte che Euridice uscisse.

Sentendo rumori insoliti fuori dalla porta, prima dell’alba Euridice usci a guardare chi c’era. Ma come si accorse che Aristeo era lì appostato con l’intenzione di afferrarla e prenderla con sé, cominciò a scappare, correndo a perdifiato. Euridice, pur esile nel corpo, aveva una forza straordinaria e un carattere deciso. Non sopportava che qualcuno potesse decidere per lei. Continuò cosi a precipitarsi nel fitto del bosco che circondava la sua casa e riuscì ben presto a seminare Aristeo, Nel correre veloce in quell’oscurità, non si accorse però di un serpente che le attraversava la strada cosi lo calpestò. Il serpente la morse e, poiché era molto velenoso, in pochi minuti lei mori.

La notizia della morte di Euridice volò rapidamente di bocca in bocca e, prima che sorgesse il sole, arrivò alle orecchie di Orfeo. Come il ciclone che giunge dal mare abbatte e devasta alberi e costruzioni sulla costa, cosi il dolore per la morte di Euridice investi Orfeo, sconvolgendo ogni suo pensiero. Orfeo si senti perso e cominciò a vagare senza una meta. Non riconosceva gli alberi, le colline, il paese che aveva abitato fino ad allora.
Non riconosceva la luce che, filtrando e muovendosi attraverso le foglie, lo aveva sempre ispirato. Non riconosceva sé stesso, il suo corpo e i sentimenti che gli trapassavano il cuore. E poiché non conosceva altro modo di reagire, Orfeo cominciò a cantare. Ma ora il canto di Orfeo era così disperato e struggente che donne e uomini e animali di ogni sorta, giunti da lontano ad ascoltare la sua musica, si rattristarono così tanto da non voler più vivere.
Gli animali della selva rinunciarono ad accoppiarsi e coniglie e cavalle non diedero più alla luce i loro piccoli. Persino l’erba, così verde al suo primo spuntare, incupita dall’ascolto del canto disperato di Orfeo, si
rifiutava di sbucare dalla terra Il mondo entrò in un inverno senza fine e preoccupò gli dei che abitavano il monte Olimpo.

Bisogna fare qualcosa, si dissero, e cosi Orfeo fu raggiunto in sogno da una voce che gli proponeva un’impresa inaudita, mai concessa ad alcun uomo prima di lui. Avrebbe dovuto esplorare il limitare del bosco e cercare il pertugio che gli permettesse di penetrare nel mondo dei morti.

L’idea di poter rivedere e riportare in vita Euridice fece ritrovare ad Orfeo la fiducia che sempre l’aveva animato. Svegliatosi nel mezzo della notte, si mise in cammino e cominciò a cercare senza sosta. Dopo nove giorni, finalmente, all’ora del tramonto Orfeo trovò un anfratto, che nascondeva il passaggio che collegava il mondo dei vivi al mondo dei morti. Vi si infilò senza esitare ma, appena entrato in quel mondo di tenebre, fu colto da paura e spavento. Tutti gli uomini varcano infatti quel confine al termine della vita, ma nessuno è mai tornato indietro dal misterioso mondo dei morti.

Il grande amore che provava per Euridice spinse Orfeo a procedere in quell’oscurità e, per farsi coraggio, fece la cosa che meglio sapeva fare: comincio a cantare Cantò con voce spezzata il suo terrore insieme alla speranza più audace, in una tensione che donava al fiato del suo respiro una sonorità che riempiva e faceva vibrare ogni spazio. Se ne accorsero le anime dei morti che vagavano in quel mondo scuro abitato da soli suoni. Se ne accorsero e si stupirono e si rallegrarono perché mai avevano udito note cosi cariche di paura e desiderio uniti insieme, che davano alla voce di Orfeo profondità e risonanze mai udite prima. Lo aiutarono cosi a scendere sempre più giù, nelle viscere della Terra, accompagnandolo come il vento che si fa suono infilandosi tra le
rocce.

Questo è il primo capitolo del libro…

Orfeo. La ninfa Siringa e le percussioni pazze dei coribanti. Tre miti sull’origine della musica
C’è un bambino straordinario, Orfeo, che non piange appena nato ma si mette a cantare in modo così dolce da incantare gli uccelli che volano lì intorno.
C’è la ninfa Siringa, che si trasforma in canne mosse dal vento per sfuggire a Pan, il dio dei boschi innamorato di lei, che costruirà con quelle canne il primo flauto per ricordare il suo amore.
C’è un gruppo di ragazzi scatenati, chiamati Coribanti, che battendo bastoni, pietre e metalli, coprono il pianto del piccolo Zeus e gli salvano la vita.
All’origine della musica c’è una relazione intima e totale con la natura e gli spiriti che la abitano. Paura, amore, solitudine, struggente nostalgia e ricerca di armonia trovano nel canto e nel suono il loro primo linguaggio e, forse, la loro origine remota.
Anno di pubblicazione: maggio 2017
Collana: Il Quaderno quadrone
Pagine 40 + copertina, stampa in quadricromia
pagine carta usomano gr 170
copertina usomano gr 300, confezione filo refe
Formato: cm 23×27
Lettori: da 8 anni

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