Dirotta su Giove

Giove è un piccolo paese dell’Umbria. A Giove fa scuola un marziano, il maestro elementare Franco Lorenzoni. Mi ha invitato nella sua classe, la quarta, e sono andato. Mi aprono le bidelle, il maestro è accucciato accanto a Peter, insieme stanno facendo dei buchi su piccoli pezzi di legno. Piccoli misteriosi segmenti. Peter è appena arrivato dal Sudan e, anche se ha il padre italiano, per ora parla solo arabo e inglese: «Attento qua reggi qui, spingi che ce l’abbiamo fatta!

Franco mi presenta e l’aula si presenta a me. È confusionaria e creativa, quindi intelligente. Campeggia sull’ultima parete una grande carta geografica dell’Africa con il Mediterraneo in testa. Le sedie hanno una zampa ficcata in una palla da tennis verde, è la soluzione al rumore, inevitabile con i ragazzi sempre in movimento. Sedie silenziate con questo lavoretto artigianale degli alunni. La sfera verde e pelosetta accoglie il ferro della sedia e la parte
rimasta intatta della palletta da tennis scivola dolcemente sul pavimento. Geniale. Dico le mie cose, da spettinato pediatra, senza svelarmi troppo. Racconto una favola che fa ridere. Franco fa un bel gioco: Che lavoro fa questo strano tipo?»

Un bambino, dopo mille tentativi e incoraggiato da chissà quale indizio, spara: «il consulente di cicogne!». «Esatto!» dico io. Poi è il momento dei piccoli segmenti di legno. I bambini li uniscono con delle viti e delle farfalline di metallo, avvitano, stringono, e stimolati dal maestro artigiano disegnano il triangolo, il quadrato, l’esagono, s’ingegnano su quale sia la superficie più grande che si può ottenere maneggiando sul mattonato dodici listarelle di legno. Stanno cercando la risposta a Didone. Sono settimane che ragionano su come e perché Didone abbia potuto costruire la più grande città della storia antica, Cartagine, avendo a disposizione soltanto la pelle di un toro. Didone ebbe un’idea fantastica: prese quella pelle e la tagliò in sottilissime striscioline. Il re le aveva consegnato solo quella pelle di toro e là sopra, certo niente ci si sarebbe potuto costruire, ma un’anima può avere uno spazio infinito se lo sai cercare. Anche i bambini hanno preso una stoffa grande come la pelle di un toro e l’hanno tagliata a striscioline, talmente sottili che la settimana scorsa sono riusciti tutti insieme a circondare, con quelle striscioline di stoffa, il campo da calcio di Giove. Abbiamo fatto tutto questo seduti, in cerchio. Eravamo nell’aula di una scuola di questa nostra Italia che ha paesi che sono pianeti e maestri che sono marziani come il maestro Franco. Ad ogni lato corrisponde un angolo, in una figura geometrica chiusa. In ogni uomo batte un cuore, è una legge della fisica.

Come sono grandi i pensieri dei ragazzi della quarta elementare. Basta cercarli Me ne torno a casa pensando a questa straordinaria mattinata e a Franco, un grande maestro, e non c’è immagine più necessaria che questa. Si scrive fra le prime la parola maestro. E un primo volo fuori dal garantito, il maestro, se l’amore a casa c’è. Spesso è l’amore che resta e che ti porti nel tempo.

Franco ha un modo di ricevere e di trasmettere sé stesso, di imparare dai bambini quello che la vita un po’ alla volta sottrae, di non perdere il gusto della scoperta, la capacità di meravigliarsi, di stupire, il senso del gioco. In questa opportunità si tuffa in aula ogni giorno, l’ho visto.

Cosi, nella sua piccola scuola, quando Franco prende dei pezzettini di legno fa sociologia e antropologia; quando assembla i pezzi fa applicazioni tecniche. Quando conta con Peter i pezzetti di legno preparati fa aritmetica, se racconta che devono essere dodici i legnetti, ciascuno con due buchi e li propone alla classe ottenendo che vengano sistemati sul pavimento esercita ruolo e autorità, e con tutti i bambini seduti a terra fa psicologia della relazione costruendo comunità. Quando suggerisce che vengano disegnati sul pavimento dei poligoni, sempre con quei pezzettini di legno, Franco insegna geometria e quando accetta risposte fantasiose e creative fa poesia.
Tutto finisce nella poesia, anche il pezzettino di pizza che la signora del bar gli mette da parte (chissà ormai da quanto tempo, a cinquanta centesimi a mattina), fuori dall’arco del piccolo borgo di Giove.

Poi mi leggo di miti e storie e la fantasia si libera e i lettori possono andare per le loro strade e immaginare trasformazioni irreali, evoluzioni e coraggiose soluzioni. Le coraggiose soluzioni vengono da qui, dal tempo perso, dal tempo del gioco, dal suggerimento e non dalla regola imposta, dalla condivisione e dalla carezza, dall’insegnamento. Vengono dall’amore e l’amore è tempo dedicato e attenzione.

Ve lo dicevo: guardiamoci attorno, questo nostro paese ha tesori nascosti, ricchi sia della base tecnica  dell’impostazione didattica, sia della passione che consente di avvicinarci ad ogni essere umano con un linguaggio appropriato e personale, oltre il protocollo e la serializzazione.
E questa una suggestione importante e utile anche nel mio lavoro di pediatra.
C’è un’intesa specifica per ognuno.
Stiamo accettando una semplificazione troppo pericolosa, nella scuola, in molti altri campi (io potrei dire nella pediatria), e dobbiamo invece essere più coraggiosi nelle scelte e nelle soluzioni, più innamorati negli sguardi, più tecnici nella qualità delle risposte, più unici nella dedica personale.
Dobbiamo recuperare il valore delle differenze, rischiare l’intesa che non è prevedibile, avere la capacità di non indossare divise e autotutele.
Franco è già molto avanti e ora ci leggiamo le sue leggende e i suoi miti.

Questa è la premessa del libro…

Orfeo. La ninfa Siringa e le percussioni pazze dei coribanti. Tre miti sull’origine della musica
C’è un bambino straordinario, Orfeo, che non piange appena nato ma si mette a cantare in modo così dolce da incantare gli uccelli che volano lì intorno.
C’è la ninfa Siringa, che si trasforma in canne mosse dal vento per sfuggire a Pan, il dio dei boschi innamorato di lei, che costruirà con quelle canne il primo flauto per ricordare il suo amore.
C’è un gruppo di ragazzi scatenati, chiamati Coribanti, che battendo bastoni, pietre e metalli, coprono il pianto del piccolo Zeus e gli salvano la vita.
All’origine della musica c’è una relazione intima e totale con la natura e gli spiriti che la abitano. Paura, amore, solitudine, struggente nostalgia e ricerca di armonia trovano nel canto e nel suono il loro primo linguaggio e, forse, la loro origine remota.
Anno di pubblicazione: maggio 2017
Collana: Il Quaderno quadrone
Pagine 40 + copertina, stampa in quadricromia
pagine carta usomano gr 170
copertina usomano gr 300, confezione filo refe
Formato: cm 23×27
Lettori: da 8 anni

Check Also

Il miracolo di Tommasino

Il miracolo di Tommasino

Il miracolo di Tommasino è un racconto della tradizione, a metà strada fra leggenda e verità, …

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.