Quest’estate andremo in campeggio all’estero! — disse papà alla mamma appena finita la scuola. — Mi piacerebbe che i bambini sentissero parlare tedesco tutto il giorno. Sarà quel che si dice “un bagno di lingua”.
Io, a dire il vero, sognavo soprattutto i bagni di mare.
Così partimmo per la Germania allo scopo di imparare il tedesco.
Durante il viaggio mi feci coraggio e dissi: — Non mi va proprio di giocare con un bambino tedesco.
Mamma e papà mi sgridarono dicendo che i bambini valgono tutti allo stesso modo.
Quando arrivammo al campeggio, una signora bionda accompagnata da un ragazzetto biondo passò davanti alla nostra tenda.
I miei genitori mi guardavano, mia sorella mi guardava, i vicini di tenda mi guardavano… La Terra intera aspettava che io andassi a giocare al pallone con il ragazzetto tedesco.
Mi strinsi nelle spalle e mi diressi mugugnando verso la tenda accanto.
Il bambino sembrava aspettarmi.
lo sparai una pallonata. Lui stoppò senza sforzo. Non era per niente una schiappa.
La partita cominciò.
Di lì a dieci minuti avevo completamente dimenticato il bagno di lingua e, in compenso, mi divertivo un mondo.
Il bambino biondo bloccò il pallone sotto il piede e, picchiandosi il petto, disse: — Nicloss! o qualcosa del genere.
Anch’io mi picchiai il petto e, invece di dire “Giancarlo”, per scherzo esclamai: — lo Tarzan!
Il mio nuovo amico era un bambino attento. Ripeté: — lotarsan.
Ci sedemmo sull’erba. E allora mi balenò l’idea che non è molto difficile diventare amici di qualcuno che non dice una sola parola come la diremmo noi.
Marie-Aude Murail, Papà e i bagni di lingue, Emme Edizioni