Enrica, Elisabetta, Eleonora, Eugenia erano una persona sola, anziché quattro, che aveva quattro nomi, anziché uno.
Enrica era per ricordare nonno Enrico, babbo del babbo, che lei non aveva mai conosciuto, né lui aveva conosciuto lei. Era morto quando il babbo era ancora ragazzo, e per questo lui ci teneva a farlo un po’ rivivere in lei, al meno nel nome. Il fatto che a Enrica il nome Enrica non piacesse poi tanto pareva non essere un grosso problema: ne aveva altri tre e, tra tutti, almeno uno sarebbe stato di suo gradimento. Elisabetta era il nome della nonna, mamma della mamma. Era anche il nome che Enrica Elisabetta Eleonora Eugenia gradiva di più, con la sola controindicazione che qualcuno la chiamava Betty, altri Betta, oppure Eli, o persino Lisa, diminutivi che le facevano egualmente schifo, come quasi tutti i diminutivi.
Elisabetta tutto intero invece no. E poi nonna Elisabetta era l’unica che aveva conosciuto, o almeno così le dicevano, perché era morta quando lei aveva un anno appena. Di fatto non aveva nemmeno un piccolo ricordo da rinfrescare ogni tanto, a parte una fotografia in cui la teneva in braccio e la cullava. Il nonno, marito di Elisabetta, si chiamava invece Erasmo, ma né il babbo né la mamma se la sentirono di aggiungere a Enrica, Elisabetta, Eleonora ed Eugenia anche il nome di Erasma, che pareva decisamente troppo goffo. Invece, tutto sommato, sarebbe stato un nome talmente insolito da non dispiacerle.
Un nome in più, poi, non avrebbe cambiato di molto le cose: Elisabetta sarebbe sta to sempre il suo preferito e lei avrebbe fatto rivivere un po’ di entrambi i nonni. Questo purché nessuno la chiamasse Erasmina, Ery, Mina o cose così; ma vista la scelta dei genitori, il problema non si pose mai. Eleonora era la mamma del babbo, moglie di nonno Enrico, anche lei morta chissà quando, chissà come. E per lei era il secondo nome in ordine di gradimento, dopo Elisabetta, forse perché uno cominciava per eli e l’altro per ele, e parevano quasi nomi gemelli.
Eugenia non era nonna di nessuno in famiglia, né mamma, né bisnonna: era stato il nome della sorellina della mamma, che era mancata ancora molto piccola e da allora nessuno ne parlava volentieri, nessuno la citava nei discorsi, ma nessuno la dimenticava. Enrica Elisabetta Eleonora Eugenia, se poteva, non diceva mai di chiamarsi anche Eu genia, per quanto quello fosse il nome di cui sentiva più la responsabilità.
O forse proprio per quello. Una volta all’anno, con i genitori si andava al cimitero a far visita ai parenti e agli amici scomparsi, per rimettere un po’ in ordine le tombe, portare due fiori e accendere qualche cero. Di fronte alle lapidi che ricordavano i nonni Enrico ed Eleonora, i nonni Erasmo ed Elisabetta e zia Eugenia, Enrica Eleonora Elisabetta Eugenia si fermava sempre in silenzio per qualche istante in più rispetto a tutti gli altri. Sbirciava le loro fotografie quasi sbiadite e, a parte Eugenia, trovava ogni anno qualche nuova piccola somiglianza, al punto da avere l’impressione che lì sotto ci fosse anche un pezzettino di lei. Allora lasciava che un brivido le percorresse la schiena e provava a indirizzare i pensieri altrove, verso i fiori, il cielo o le scarpe di qualche passante.
Enrica Eleonora Elisabetta Eugenia non si lasciava rattristare dal pensiero di portare dentro di sé un po’ di quattro persone morte, convinta com’era di rappresentare la loro parte ancora viva, e questo pensiero, ancorché piuttosto difficile da dimostrare, le piaceva un sacco. Prima o poi, in un futuro molto lontano, anche lei avrebbe lasciato questo mondo e forse qualcuno avrebbe eredi tato anche il suo di nome, portando a spasso la parte viva di lei, sufficiente per far sì che tutto il resto fosse un po’ meno morto.
Di nuovo un brivido le fece vibrare il respiro, ma questa volta in modo diverso: Enrica Eleonora Elisa betta Eugenia non era sicura di desiderarlo davvero, che qualche povera bimbetta innocente si trovasse sul groppone quattro nomi tutti in una volta, magari con l’aggiunta di quelli di altri nonni e bisnonni. Troppa responsabilità davvero.
Si guardò intorno per cercare un altro spunto di distrazione e, almeno per un po’, non ci pensò più.
Questa è una storia presente nel libro…
Chi è il tipo che vive nell’oscurità, in un buio impenetrabile, senza lamentarsene? E come può Enrica portare dentro di sè un po’ di quattro persone morte? E’ una finestra serrata l’unica via di scampo per Giovanni da uno spazio denso e senz’aria.
Che 666 sia davvero il numero satanico a Henry sembra una cavolata ma ogni volta che cammina lungo la strada sente un brivido che gli porta via i pensieri. Ventuno protagonisti, ragazzi e ragazze, ventuno racconti, ventuno paure per dire
Età di lettura: da 9 anni.