C’era una volta una mantide che cercava di catturare la luna. Ci si voleva sedere sopra e attraversare il cielo ogni notte, cosicché tutti gli animali avrebbero detto:
– Ecco la mantide che viaggia sulla luna. Dev’essere di certo una dea e noi dobbiamo adorarla!
E così avrebbe potuto finalmente viaggiare, guardando dall’alto il grande deserto arido in cui viveva, gli alberi spinosi, i corsi d’acqua asciutti e i branchi di antilopi che la fissavano a bocca spalancata.
Ma la mantide era solo un insetto e la luna era ben lontana. Neppure gli uccelli della notte, le cui ombre tagliavano da parte a parte la faccia della luna, l’avrebbero mai raggiunta, e dunque come poteva una mantide volare fin lì con le sue ali corte e ronzanti?
Eppure la mantide era una sognatrice e quando si dondolava su un ramoscello o si rannicchiava su una foglia, non pensava ad altro che all’astro e a come raggiungerlo.
La luna, però, non sempre sorgeva alla stessa ora, perciò la mantide decise di afferrarla non appena
fosse spuntata in cielo.
Così attese impaziente tutto il giorno, fino a quando le ombre sbucarono da sotto i sassi e i cespugli e la luna spuntò silenziosa. Eccola lì, impigliata tra i rami del baobab! La mantide si avviò su per il tronco, un lungo viaggio per una piccola creatura. Ma quando raggiunse la chioma, la luna era salita più su e si era ancorata ai rami più alti sopra di lei. La mantide volò verso la luna, intenzionata ad afferrarla prima che si liberasse. Ma quando arrivò lassù
l’astro si era già allontanato e saliva sempre più piccolo e più rapido nel cielo.
Così accadde per molte notti di seguito, finché la mantide pensò:
– Preparerò una trappola…
Da “Le mie fiabe africane” di Nelson Mandela