Incontro del prof. Paolo Scquizzato, direttore di Casa Mater Unitatis di Druento e docente di Introduzione alla Teologia presso Università Cattolica del Sacro Cuore, sezione di Torino, presso l’Associazione di volontgariato Chicercatrova onlus – Torino, Corso Peschiera, 192/a.
Relazione del Prof. Don Paolo Scquizzato
Direttore del Centro di Spiritualità Mater Unitatis del Cottolengo di Druento
(23 maggio 2018)
Buona sera,
vi ringrazio dell’invito, torno sempre volentieri ai nostri incontri a Chicercatrova, questa sera vengo anche abbastanza sereno perché affrontiamo un tema non “caldo”, quindi non credo che ci sarà motivo di grandi dibattiti, a differenza di altre volte in cui, mi ricordo, su altre tematiche si andava a finire sempre in discussioni molto accese.
Questa sera il tema è il tema delle fiabe legate al Vangelo. Ho accostato il mondo delle fiabe in maniera casuale perché non è che io fossi un grande appassionato di fiabe, però lessi casualmente un libretto di un filosofo italiano Silvano Petrosino, edito dal Melangolo, dal titolo “Le fiabe non raccontano favole – Credere nell’esperienza” e il tema che ha affrontato in questo libro è proprio la differenza profonda tra “fiabe” e “favole”, perché noi solitamente le usiamo un po’ come sinonimi e invece c’è una grossa differenza. Da qui ho intuito che dietro la fiaba c’è un mondo, c’è un qualcosa di veramente interessante per la nostra vita come uomini, come cristiani e come credenti anche.
Questa sera cercherò di recuperare alcuni elementi delle fiabe facendo poi, magari, degli agganci al Vangelo.
Partiamo da un assunto che la fiaba è un mito, e noi anche con la parola “mito” abbiamo un legame un po’ strano perché noi tutto quello che è mitologico lo disprezziamo un pochino, mentre il mito è un aspetto fondamentale, il mito è un aspetto importantissimo per la nostra cultura, per la nostra formazione. Mi piace una definizione di Sallustio che definisce il mito “quella cosa che non è mai successa ma che succede sempre”, è geniale questa definizione! Quindi il mito è quella realtà, quel racconto, quell’avvenimento che non è mai accaduto ma che in realtà accade sempre: accade nella nostra vita, accade nella storia.
La fiaba è un mito che ha lo scopo di proiettare come su uno schermo la nostra vita, la nostra storia, l’umano, e in questo modo leggendo e studiando una fiaba noi rivediamo in questa fiaba, come in uno schermo, qualcosa che riguarda la nostra storia, i nostri vissuti, le nostre zone d’ombra, le nostre parti più belle ma anche quelle drammatiche. Ritornerò sopra questo aspetto perché è un aspetto molto importante, la fiaba in questo senso è molto onesta.
Ora, le fiabe che sono miti, che sono proiezioni della nostra realtà profonda, sono anzitutto profondamente vere, le fiabe sono racconti di una profondissima verità. Uno potrebbe dire: «Ma come, Biancaneve può essere vera? Cappuccetto Rosso è una storia vera?», sì, qui assieme al mito, agli archetipi, ecco dovremmo tenere una sorta di vocabolario della fiaba perché è interessante.
Le fiabe e i miti sono veri ma non sono reali. Allora qui, forse, occorre porre la prima grande differenza tra verità e realtà: esiste qualcosa di vero senza essere reale. Noi siamo figli dell’800 quindi di una cultura “esperita”, siamo figli dell’esperimento quindi figli della scienza, quindi per noi è vero soltanto ciò che è anche reale, ovviamente, ed è reale solo ciò che è vero, quindi la fiaba qui non esiste, non esiste questa equazione tra verità e realtà.
Faccio un esempio, provate a pensare un fatto, un accadimento molto reale; io nel libro porto l’esempio di uno di questi reality televisivi che vanno molto di moda; lì ci sono personaggi reali perché sono ragazzi, sono persone in carne ed ossa, personaggi reali anche scientificamente sperimentabili perché li si può isolare, gli si può fare anche un’analisi anche psicologica, sono reali! Però questi personaggi sono veri?
Allora, spostiamoci su un esempio che faccio nel libro, un autore che amo molto Dostoevskij, nei Fratelli Karamazov c’è un personaggio che amo molto e che è un po’ il protagonista, che è il fratello più piccolo dei fratelli Karamazov che è Alëša, questo monaco, questo santo, una sorta di alter Cristo, questo personaggio straordinario. Ora, Alëša è certamente non reale, è uscito dalla penna di uno scrittore, non è mai esistito, eppure è profondamente vero, talmente vero che io posso anche imitarlo, condurre la mia vita sul suo esempio perché so che, essendo lui una persona vera, mi potrebbe aiutare ad essere un uomo vero, quindi a sbocciare, quindi a essere fecondo nella mia vita.
Quindi, capite che cos’è la verità? La verità non ha a che fare con la certezza, la verità ha sempre a che fare con la fecondità: non è vero ciò che è certo, è vero ciò che è fecondo, ci sono delle cose certe ma che non sono vere, che non ti danno nulla, che non ti fanno crescere. Se vuoi giocarti la vita sull’esempio di uno che passa 50 giorni in una casa sotto i proiettori, forse non avremmo poi una vita così felice.
Questo è il primo aspetto delle fiabe: Biancaneve è mai esistita? No! Però è profondamente vera perché la storia di Biancaneve è di una realtà impressionante, evangelica, ecco quella è una fiaba evangelica; come Cenerentola che non è mai esistita.; Cappuccetto Rosso non è mai esistita, però che verità si cela dietro a questa ragazzina! Capite, questo è un aspetto importante da tenere presente anche nella nostra vita, questa differenza tra reale e vero: diffidiamo di tutto ciò che ci viene passato come la realtà, ma non bisogna accontentarsi della realtà perché non tutta la realtà ci aiuta a crescere.
L’imprevedibilità è un altro aspetto molto interessante che si evince analizzando le fiabe: le fiabe sono sempre imprevedibili, è incredibile come nella fiaba quando ormai la storia ha preso una certa direzione e sembra ormai inevitabile che debba finire così, non va a finire così! Subentra sempre qualcosa che la capovolge, la sovverte; è quello che noi chiamiamo i colpi di scena, in alcune fiabe sono proprio impressionanti. Pensiamo “Cappuccetto Rosso” che conosciamo tutti: questo qui si è mangiato la nonna, si è mangiato la bimba, e passa di lì “per caso” un cacciatore. Tutto sembrava compromesso e passa il cacciatore!
Perché dico che è importante cogliere quest’aspetto dell’imprevedibilità della fiaba? Perché la vita è imprevedibile, e noi quanto bisogno abbiamo di aiutarci a comprendere la vita come imprevedibilità, il problema nostro è che noi non concediamo nulla all’imprevedibilità. La nostra vita per essere vissuta, per essere accettabile, deve essere tutta prevedibile: noi prevediamo tutto! E se non prevediamo qualcosa entriamo in crisi e oggi ancor di più! Abbiamo oggi dei mezzi che ce lo permettono e noi prevediamo tutto, e quando ci succede qualche cosa di imprevedibile andiamo in crisi perché non avevamo previsto. E invece la vita è tutto un imprevisto.
Una grande scrittrice americana che amo molto, Emily Dickinson, in una poesia esordisce così:
«Io vivo nella possibilità», è bellissima! Cioè: «Io vivo nella possibilità, io sono aperta continuamente a ciò che può raggiungermi». Se noi prevediamo tutto ci chiudiamo la vita perché abbiamo già previsto quello che potrebbe succedermi, quello che una persona potrebbe dirmi, quello che potrebbe accadermi, quindi io “muro” in qualche modo tutto ciò che potrebbe accadermi; ecco, la fiaba ci invita proprio a dire: «Lascia aperta la tua vita!».
Un altro aspetto molto importante è che nella fiaba nulla viene censurato, ecco perché può succedere sempre qualcosa anche di terribile. Cioè l’autore della fiaba per il fatto che non prevede nulla lascia tutto all’imprevisto, e fa anche in modo che nella fiaba succedano cose terribili! Nelle fiabe noi abbiamo la vita: gente che nasce, gente che si sposa, gente che mette al mondo figli, quindi c’è un inno alla vita, ma c’è anche tanta morte nelle fiabe, si muore tanto nelle fiabe! Poi abbiamo l’amore, abbiamo l’odio, la cattiveria, la bontà, desideri sessuali, infanticidi, madri che mangiano i figli, padri che abbandonano le figlie, sangue, morti, prigionie, ma cose terribili!
Apro una parentesi, Walt Disney con le sue fiabe, con i suoi cartoni animati, con i suoi libri, ha fatto un disastro sulle fiabe. Quelle non sono le fiabe! Le fiabe autentiche sono quelle catalogate nelle grandi raccolte, le fiabe raccolte dai fratelli Grimm nella seconda metà dell’800. Se voi leggete “Cenerentola” dei fratelli Grimm non ha nulla a che fare con la Cenerentola di Walt Disney, però purtroppo quello che passa è la Cenerentola con la fata madrina, con la zucca, e questo non c’entra nulla con la Cenerentola dei fratelli Grimm.
Quindi, la fiaba non censura! Guardate che questo aspetto è importantissimo perché noi, invece, censuriamo molto; noi censuriamo molti aspetti della nostra vita. Anzitutto lo dico alle mamme, alle nonne, quando leggono le fiabe ai bambini, quelle autentiche, quando arrivano alla madre che strappa con i denti il fegato e il cuore della figlia, allora forse cambiano pagina, dicono: «No, questo non è successo». “Hansel e Gretel”, è una galleria degli orrori quella fiaba, allora la si edulcora, si censura, oppure quando c’è qualcosa di sessuale, si dice: «Forse è meglio soprassedere».
Vedete, noi facciamo censure, ma non soltanto con i bimbi cioè con gli uditori, gli spettatori della fiaba; noi censuriamo purtroppo molto della nostra vita. Ecco, la fiaba ci suggerisce: «Siate sempre onesti con la vostra vita. Siate onesti con la vostra vita perché potete censurare ma prima o poi ne pagherete un prezzo», censurare vuol dire non voler chiamare per nome, non voler accettare certe cose che ci si porta dentro Ad esempio: «Io provo un sentimento; ah, ma mi hanno insegnato che questo sentimento non va bene provarlo, quindi lo censuro» – «Ho fatto questo sogno, ah, che sogno! Per carità! Non si addice al mio essere puro, al mio essere cristiano, no! Allora, niente» – «Ho avuto questo moto: avrei ammazzato quella persona. Avrei mangiato mio figlio, ma non di baci, proprio lo avrei triturato, avrei fatto fuori mio figlio!», ci sono madri che lo dicono in un momento veramente di quando non ce la fanno più…, però tutti questi movimenti, questo sentimento noi li censuriamo, noi censuriamo!
Sulle fiabe si sono fermati moltissimo psicologi e grandi psicanalisti da Jung a Breddermann che ha scritto moltissimo sull’onestà delle fiabe. Le fiabe non censurando nulla ci suggeriscono di non farla noi questa censura perché come dice Jung: «Quando noi censuriamo qualcosa che cosa facciamo? La neghiamo, e la cosa negata va a finire in quella zona d’ombra dentro di noi che si chiama inconscio». Ora, è come lavorare al computer: quando c’è un documento che non ti serve più lo cancelli e lo mandi nel cestino, tant’è che tu non lo vedi più ma c’è, tant’è che se dopo ne hai bisogno lo vai a prendere. Ecco, noi censuriamo e buttiamo lì dentro all’inconscio, ma tutta questa ombra con cui non abbiamo fatti i conti ed è lì, prima o poi chiederà diritto di cittadinanza nella nostra vita e viene fuori, e ci chiederà un prezzo altissimo magari quando non abbiamo più neanche la forza di poterlo gestire. Jung dice una cosa molto interessante: «Rendi conscio ciò che è inconscio, altrimenti l’inconscio ti farà vivere come vuole lui, cioè farà delle scelte al tuo posto e tu lo chiamerai “destino”», altro che destino! No, destino niente, perché è proprio tutta un’altra cosa.
Ecco, la fiaba dice: «Provi questo? Accettalo, accettale queste cose, fai i conti, chiamale per nome, lavoraci sopra, abbracciale, abbraccia l’ombra, abbraccia la zizzania, abbraccia anche i sentimenti negativi che ti porti dentro, altrimenti ti chiederanno il prezzo e avranno un potere grandissimo su di te e tu non sei più libero perché ti fai dominare da tutta quella parte».
Questo è un aspetto molto importante: le fiabe come imprevedibilità.
Le fiabe sono sempre, praticamente tutte, grandi narrazioni che raccontano sempre storie di iniziazione, sono dei processi di iniziazione. Da quello che vi sto dicendo capite: “togliamoci dall’idea che le fiabe sono fatte per i bambini”, è vero! Le fiabe non sono state fatte per i bambini, sono dei grandi “testi mitologici archetipali” (per dirla con Jung) scritte per gli adulti, poi che le abbiamo volute raccontare come fiabe ai bambini è un altro discorso, ma servono agli adulti, servono per interpretare il tuo vissuto, la tua storia.
Le fiabe sono racconti di iniziazione, gli eroi e le eroine di queste storie devono sempre cominciare dei percorsi, cioè la fiaba, per arrivare alla fine “per vivere felici e contenti per sempre”, però devono attraversare di tutto. Pensate, il più delle volte cominciano con uno dei due genitori muore subito, o con genitori che muoiono subito, quindi bambini orfani, bambini che vengono adottati da gente maligna e poi appena cercano di fare qualcosa vengono distrutti, vengono mangiati, vengono abusati, ma che cosa vuol dire questo? Che per diventare adulti, cioè per diventare pienamente se stessi, per poter sbocciare, (ecco il racconto di iniziazione: l’iniziazione è l’attraversamento di una prova per poter diventare adulti, per poter stare in piedi da soli) è necessario attraversare tutto questo spazio di difficoltà.
Arendt diceva: «Si nasce per incominciare», ecco, le fiabe dicono proprio questo, si nasce, si viene alla luce per incominciare a vivere pienamente; non basta venire alla luce, non basta nascere, bisogna proprio attraversare, affrontare, lottare e alla fine tu arriverai al compimento.
Fermiamoci su Cappuccetto Rosso (ce ne sono centinaia di fiabe, prendiamone una) è proprio una storia di iniziazione; abbiamo una bambina, la nonna le aveva regalato un mantello di velluto rosso col cappuccio, a lei piaceva moltissimo e lo vestiva sempre, e la gente l’aveva chiamata Cappuccetto Rosso. Però, quando incontrate il rosso in una fiaba, il rosso è il colore del sangue, il rosso è il colore del sangue mestruale che torna, è il momento in cui si diventa adulti, si cresce, ecco perché è importante il rosso in Cappuccetto Rosso.
Il rosso è importante anche in Biancaneve, ricordate la metà mela verde e la metà mela rossa, il rosso rappresenta l’eroticità, Biancaneve mangiando la parte rossa mangia la parte erotica della vita, diventa donna tanto ché per i Sette Nani, asessuati, lei è morta. Capite? Perché loro non possono più avere vita, non possono aiutarla in questa fecondità, ci vuole un principe dal di fuori, per poterla risuscitare. Capite, c’è tutto questo mondo dietro le fiabe, e potete intuire quello che ci sta dietro.
Noi ci fermiamo su Cappuccetto Rosso: è una storia di rinascita, questa bambina che per diventare vecchia (ecco la storia da bambina a vecchia) deve attraversare il bosco, perché la fiaba dice che la nonna sta proprio dentro il bosco, di là del bosco, non vicino alla casa, quindi Cappuccetto Rosso o attraversa il bosco o non verrà mai alla luce di sé.
E allora perché ho giocato sul Vangelo? Perché se noi cominciamo ad approfondire le fiabe ci accorgiamo che il Vangelo racconta tutto questo. È impressionante! I racconti evangelici raccontano tutti i grandi temi delle fiabe: la rinascita, il compimento, il bosco, la difficoltà, il morire, il rinascere.
Pensate quando Gesù dice: “se si vuole arrivare al compimento di sé bisogna lasciare padri e madri”, che cosa vuol dire lasciare la madre? Parla anche di tane e nidi, quindi tane, nidi, madri: è l‘utero, è la sicurezza, l’accoglienza, ma tu devi uscire da lì! Se non esci dall’utero non vieni alla luce, se non esci dal nido, se non esci da una zona di “comfort”, non verrai alla luce; certo che fuori c’è il bosco, ma tu non potrai diventare te stesso se non attraversi, se non affronti il bosco. Gesù lo dice questo.
Il bosco è un archetipo fondamentale delle fiabe, si riscontra molte volte il bosco, anche perché nella letteratura di ogni tempo è il simbolo ambiguo; il bosco ha un aspetto sinistro, nel bosco ci si può perdere, nel bosco si possono fare incontri negativi, il bosco fa paura, il bosco è molto oscuro quindi c’è tutto quest’aspetto negativo, ma dall’altra il bosco è positivo nel senso che è l’unica possibilità per diventare se stessi. Sarà negativo, ma è fondamentale; le fiabe ti dicono «Tu il bosco non lo puoi bypassare: pena se lo bypassi, se lo salti, l’incompletezza della tua vita».
Pensate nella letteratura Siddharta per arrivare all’illuminazione deve attraversare un bosco; pensate anche a un grande autore, nella “Divina commedia” Dante vuole ritrovare se stesso, lui si è perso, ha perso il significato della propria vita. A metà della sua vita, attorno ai 35 anni, rimane smarrito e ha bisogno di un senso e l’unico modo è cominciare il viaggio (come Cappuccetto Rosso) e questo viaggio, guarda caso, inizia con un bosco che lui chiama “selva oscura” e, guarda caso, dentro ci sono le tre fiere tra cui una lupa, vedete, sono archetipi, sono aspetti che tornano.
E Gesù? Gesù è la stessa cosa! Gesù per diventare se stesso, per poter sbocciare, deve attraversare il bosco, e lo attraversa. Sapete che in Palestina non ci sono boschi, non ci sono distese boschive, quindi il bosco di Gesù è il deserto e non ci trova un lupo ma ci trova il diavolo, che è un’altra cosa. Ecco, questo è un aspetto da tenere presente, allora il bosco che cos’è? A questo punto possiamo dire che il bosco è l’ombra, il bosco è la difficoltà, il bosco è la crisi, il bosco è tutto ciò che la vita ci riserva e che non ci scegliamo (perché nessuno è autolesionista) però ognuno ha il suo bosco da attraversare; il pericolo è di volerlo saltare, di volerlo bypassare, perché: «Chissà che cosa incontro, chissà che cosa vedo, chissà che male mi farà!».
Leggevo un libro di un sociologo e lui dice che è un grande dramma (parlava dell’Italia e penso anche dell’Europa) che l’iniziazione è stata perduta, che non ci sono più nella nostra cultura riti di iniziazione. L’ultimo in Italia era la leva militare, la “naja”, inutile ma aiutava, era un’iniziazione il vivere un’esperienza anche dolorosa e inutile. Chi ha fatto un po’ di antropologia culturale, sa che nel ‘500 nel ‘600 ancora, le ragazze, le fanciulle, venivano lasciate sole nelle baite in mezzo al bosco dove dovevano farsi tutto, farsi da mangiare, filare e tutto, però tutto un periodo prima di potersi sposare. Cioè era una cosa inutile, ma era necessario per poter proprio crescere, perché ci fosse una sorta di spaccatura e quando finivano questi giorni c’era un’altra persona.
Ora, le fiabe ci dicono di non bypassare il bosco, e per noi il bosco è la crisi, il fallimento, la negatività. Pensate, io dico ancora ai genitori: «Oggi si fa di tutto perché il proprio bimbo, il proprio ragazzo, il proprio adolescente, non vada mai incontro a una difficoltà! Eh, no! Gli si appiana la strada si fa di tutto perché non incontri difficoltà; ogni difficoltà viene evitata, viene appianata, viene fatta bypassare in qualsiasi modo, ma tu in questo modo non solo non fai crescere tuo figlio (e se sei educatore sarebbe drammatico) non lo porti a compimento, ma gli eviti anche la possibilità di diventare coraggioso».
Perché voi sapete che la paura non è il contrario del coraggio, il coraggio è una paura attraversata, cioè tu non sei coraggioso perché non hai mai fatto esperienze paurose, ma tu sei coraggioso perché a forza di passare in mezzo a situazioni paurose hai sperimentato tutta la paura, e vincendola sei diventato coraggioso. Non si diventa coraggiosi saltando la paura ma attraversandola, quindi non diventi adulto perché non hai conosciuto la difficoltà, ma perché l’hai attraversata, ti sei attrezzato, perché l’hai chiamata per nome.
Ecco allora quando è importante il fallimento nella nostra vita, quanto è importante la crisi nella nostra vita, quanto è importante l’ombra dentro e fuori di noi! Eppure, appena succede qualcosa noi corriamo subito dagli specialisti che ci aiutino a superare questo momento, no: «Attraversalo tutto!».
Un poeta, scrittore, Rainer Maria Rilke scrive: «E di sconfitta in sconfitta, egli cresceva», è bellissimo questo! Noi pensiamo di vivere una grande illusione nella nostra vita, cioè pensare che sia auspicabile e possibile attraversare tutta l’avventura umana senza mai conoscere la caduta, il fallimento. Ora, credo che la morale cattolica abbia influito molto su questa logica! Come se l’obiettivo fosse di essere puri, eh no! Non è non aver conosciuto mai il fango che ti fa essere santo; no! Il santo è quello che ha attraversato il peccato, il fango, l’inferno! Capite che è la stessa cosa del coraggio: il santo non è quello che non ha mai conosciuto il peccato, il santo è quello che attraversa il peccato, lo vive fino in fondo ma lo sa affrontare, abbracciare, trasformare.
Cappuccetto Rosso fa esperienza del lupo dentro questo bosco e per fortuna che conosce il lupo! Capite che il lupo è un archetipo anche questo, è una figura fondamentale, e allora la fiaba ci dice che i lupi esistono non in mezzo ai boschi ma dentro di noi. Ecco, le fiabe ci aiutano a affrontare i lupi che ci portiamo dentro perché tutti noi siamo abitati dai lupi, basta essere un po’ onesti e riconoscere che siamo capaci di cedimenti, che ci portiamo dentro tendenze che non amiamo possedere, tutta quella parte dell’ombra a cui facevo riferimento prima. E allora che cosa fare? Fare finta di niente? No, il lupo c’è, affronta il lupo che ti abita!
Cappuccetto Rosso si è relazionata con questo lupo. Qui la psicanalisi veramente si è sbizzarrita nel confronto con il lupo buttando tutto sul sessuale; gli psicanalisti hanno un po’ il chiodo fisso (ecco devo dirlo!). Comunque, la fiaba ci dice che il lupo, l’ombra, va accettato, va abbracciato in qualche modo, va conosciuto perché fa parte di noi. Capite, fa parte di noi!
Anche qui un certo moralismo cattolico ci ha fatto dei danni su questo: non possiamo amputarci, dobbiamo arrivare a riconciliarci con questi aspetti, a chiamarli per nome, a dire: «Io sono anche questo. Questo fa parte di me», non si può procedere uccidendo sempre, ricordate quel bellissimo passo di Isaia: “verrà il tempo in cui il lupo e l’agnello potranno stare insieme”, ecco la fiaba ci dice: «Possono stare insieme!».
Ancora Rilke dice: «Io temo che se i miei demoni mi lasciano anche i miei angeli se ne andranno», è bello questo! «Io temo che se i miei demoni interiori, i miei dubbi, mi abbandonassero se ne andrebbero anche i miei angeli». La questione è far pascolare insieme, dentro di noi, angeli e demoni, lupi e agnelli, bianco e nero, bello e brutto, perché siamo unici, nel senso che siamo “uno”, siamo unità e non possiamo sempre dilaniarci, amputarci. Quindi la crisi è un grande aiuto per la malattia, il fallimento è un grande aiuto, il peccato è una grazia, dipende come la affrontiamo, da come la viviamo.
Jung scrive una cosa molto bella: «Quando ti troverai con le spalle al muro, rimani immobile …», ecco la crisi, il fallimento; può essere un fallimento matrimoniale, può essere un fallimento con i figli, può essere una malattia, o tutto: «Quando ti troverai con le spalle al muro rimani immobile, metti radici come gli alberi, affinché da una fonte più profonda, da una sorgente, non arrivi la chiarezza che ti permette di vedere oltre quel muro», cioè la crisi, il fallimento, il lupo: «Veglia! Non scappare, è venuto per stare lì, per fermarti! Metti radici profonde e diventerai sempre più saldo ad attingere alla sorgente che ti porti dentro, e intanto cresci e vedi oltre quel muro al quale eri spiaccicato».
C’è una scrittrice francese Christiane Singer è stata una giornalista, in carriera, una giovane donna con un futuro brillante, scopre di essere malata di cancro e da quando scopre questa malattia comincia a tenere un diario; ormai in una clinica di Parigi, scrive: «Nella vita ho raggiunto la certezza che le catastrofi ci servono a evitarci il peggio. Il peggio è proprio aver trascorso la vita senza mai naufragare; il peggio è essere rimasti sempre alla superficie delle cose, non essere mai stati scaraventati in un’altra dimensione». E qui dice una cosa bellissima: «L’autunno spogliando i rami lascia intravedere il cielo»,
Ecco, le fiabe ci ricordano che dobbiamo stare, stare lì, è vero che tutto si spoglia, tutto cade, rimane lì, eppure è l’unico modo per intravedere il sole coperto da tanto fogliame. Per fare un esempio: quante persone quando hanno conosciuto la propria malattia, magari drammatica, hanno cominciato a trovare il senso della propria esistenza? Ci voleva una malattia per rivelare il significato della vita.
Abbiamo sentito la Singer, ma pensate Tiziano Terzani, per lui era una grazia il cancro, lui ha detto: «Io ho scoperto adesso che cos’è la vita, ho scoperto gli affetti, le cose della mia vita», lui che è stato un giornalista con un successo impressionante.
Ecco, le fiabe parlano spesso di draghi, ci sono i draghi, ci sono i mostri; c’è un detto cinese che dice “laddove i draghi si sdraiano, si trovano i tesori”, certo che il drago fa paura, il drago è drammatico, eppure dove si sdraia lì sotto c’è il tesoro. Sta a te affrontare il drago, il lupo, l’ombra, il bosco, la crisi. Sicuramente un tesoro tu lo scoprirai, infatti le fiabe ci dicono che alla fine, se tu stai lì, lo attraversi, non scappi, alla fine il principe azzurro verrà, ti prenderà per mano e ti riporterà in vita “e vissero veramente felici per sempre”, e questo è un aspetto interessante.
Un aspetto interessante legato a questo: vi ricordo Gesù quando racconta quella parabola in cui si narra di un contadino che ha un campo e i suoi servitori, i garzoni, gli dicono: «Padrone ma non avevi piantato soltanto del buon grano nel tuo campo? Che cosa ci sta a fare l’erba cattiva, la gramigna? Infestante, velenosa, cattiva», e lui dice: «Lasciateli crescere assieme», grano – zizzania, lupo – agnello, luce – ombra, malattia – salute, vita – morte: la vita è una». È vero che ci sono cose drammatiche nelle fiabe come nella vita: l’importante non è ciò che capita nella vita, ma è importante come affronti le cose; è come affronti le cose che fa la differenza.
Un altro aspetto delle fiabe è la solitudine: tutti i personaggi sono profondamente soli. Il più delle volte i bimbi rimangono orfani quindi sono soli, e poi se sono due o tre fratelli si separano. Anche qui Rainer Maria Rilke (avete capito che è un mio amico!) dice: «Noi siamo solitudini», noi siamo fondamentalmente soli.
Cappuccetto Rosso è da sola ad affrontare quel bosco, Cenerentola è sola ad affrontare la matrigna e le sorellastre cattive, e avanti così. Guardate che adesso affronto un tema un po’ difficilino: ad esempio, il cacciatore in Cappuccetto Rosso passando vede il lupo, entra in casa ma non lo ammazza. La fiaba non dice che uccide il lupo: lo squarcia, lo sventra, tira fuori la nonna e Cappuccetto Rosso, ma il lupo non è ancora morto. Lo ucciderà Cappuccetto Rosso mettendoci dentro dei grossi pietroni, e la fiaba dice “e allora il lupo morì”. Che poi abbia un senso mettere dentro le pietre?
Ma, pensate i Sette Nani con Biancaneve, la aiutano, le danno una casa, la salvano da questi due tentativi di omicidio da parte della vecchia, della strega, ma a un certo punto quando mangia la mela, a quel punto, non possono più farci nulla, e avanti così.
Cioè molti personaggi delle fiabe hanno sempre qualcuno che li aiuta, che gli sta accanto ma solo fino a un certo punto. E guardate che questa cosa la dice lunga su che cos’è l’amore. L’amore, l’amante, chi ti ama, potrà aiutarti fino a un certo punto, ma poi alla fine l’ultimo passo lo fai tu, perché l’amore non può cambiare l’amato, perché un amore che cambiasse l’amato farebbe un gesto di violenza e non sarebbe più amore.
L’amore ti accompagna, l’amore ti sta accanto, ma alla fine sei tu, sei solo tu: “siamo solitudine”, sei solo tu che fai questo passo. L’amore ti sta accanto e, a forza di starti accanto con amore, suscita in te il desiderio di cambiare: suscita in te il desiderio di diventare migliore, di trasformarti, ma non ti cambia lui!
Quando Gesù di Nazaret guarisce, quando fa i miracoli, dice sempre: “la tua fede ti ha salvato”, che cosa vuol dire? Cioè l’amore, Gesù, l’amante, chiama te e ti mette nella possibilità di tirare fuori tutto ciò che ti porti dentro, mette in moto la tua energia interiore, le tue facoltà interiori per poter trasformarti.
Guardate che è importantissimo questo! La salvezza non viene dal di fuori, l’amore mette te nelle condizioni di trasformarti, di cambiare, se lo desideri ovviamente. “Lo desideri tu questo?”, Gesù dice allo storpio: ma come? È da 38 anni che sei cosi? Certo, perché se non lo vuoi tu non cambi, capite? Ma neanche Dio può fare un colpo di dita e trasformare!
Un grande filosofo russo dice: «Non c’è dittatura peggiore che la dittatura del bene!» allora, vedete quanto è importante che ci sia un amore che ti accompagna, ma l’ultimo passo lo fai tu, se non decidi tu di cambiare, di trasformarti, nessuno può fare nulla per te, nulla: noi siamo solitudine.
Per concludere una citazione ancora di una scrittrice brasiliana Clarissa Pinkola Estés in quel libro fondamentale che è “Donne che corrono coi lupi” un manifesto della donna, in qualche modo, consigliato a tutte le donne, lei a un certo punto invita le lettrici dicendo: «Andate nel bosco, andate! Se non andate nel bosco nulla mai accadrà e la vostra vita non avrà mai inizio», grazie!
Domanda: nella disciplina orientale, Osho dice di vivere le cose in modo consapevole: «Affronta le tue sensazioni consapevolmente, e questo ti farà crescere»: è in linea con quanto lei ha detto
Tutte le grandi tradizioni invitano alla consapevolezza. Anche Gesù di Nazareth ha invitato sempre alla consapevolezza; quante volte ha detto: “state attenti, vigilate, vegliate” in questo senso qui, cioè: «Definisci bene quello che ti porti dentro».
La vita è talmente breve che rischia che noi arriviamo alla fine della vita non avendo mai affrontato il nostro mondo interiore e questo sarebbe drammatico. Rischiamo di arrivare alla fine della vita senza aver mai attraversato il bosco interiore, l’oscurità perché abbiamo sempre vissuto un po’ da distratti, con tante cose da fare, però trascuriamo la cosa più importante che è definirci, chiamarci per nome.
Domanda: la ringrazio perché come al solito, mi ha scosso molto. Vorrei chiederle una spiegazione di “non c’è dittatura peggiore, che la dittatura del bene,” che cosa vuol dire in concreto?
In concreto vuol dire che se uno le dice: «Guarda, l’ho fatto per il tuo bene», tu dubita che sicuramente non era così.
Guardate che questa è una frase terribile: «L’ho fatto per il tuo bene!» – «Ti ho dato uno schiaffo, ma guarda che l’ho fatto per il tuo bene!» – «Ti ho detto questa cosa, ti ho distrutto con la cosa che ti ho detto, ma lo ho fatto per il tuo bene», cioè noi arriviamo a uccidere “a fin di bene”! Ecco, questo vuol dire la dittatura del bene.
Noi attraverso il bene possiamo fare tanto male! Dalla politica ricordate? Ma certo che l’invasione dell’Iraq era stata a fin di bene, ovviamente, e ha provocato il maggiore dei mali! Ha scoperchiato il vaso di Pandora.
Oppure nei rapporti interpersonali, nei rapporti- marito e moglie, figli. Quante volte noi riusciamo a distruggere i nostri figli a fin di bene: «Lo faccio per il tuo bene!», ma come? Che cosa ne sai tu del mio bene? È il tuo bene questo, è il tuo bene! Questa è la dittatura del bene.
Domanda: l’aver dato troppo amore è anche una dittatura? Quando si dice: «Ho sbagliato perché ho dato troppo amore»?
No, no, una cosa è il bene e altra cosa è l’amore, c’è un abisso!
Domanda: volevo soltanto capire: per amore non si sbaglia mai?
Se constati che il tuo tanto amore ha provocato dei danni, non era amore! Perché l’amore non può provocare danni!
Allora quello magari era il bene, ma quel bene che in realtà è anche mosso da tanto egoismo, da tanto accentramento. Chi ama non sbaglia mai, l’amore non può sbagliare. Il bene, invece, può sbagliare perché può essere anche molto inquinato. Le cose fatte per amore non possono essere sbagliate.
Gesù è morto per amore, e infatti ha conosciuto la resurrezione, ha conosciuto il compimento della vita. L’amore porta la vita, il bene può portare alla dittatura, appunto, può portare anche tanto male.
Domanda: esprimo una mia considerazione, avevo studiato in semiotica la fiaba e tutti questi passaggi. Non ero riuscita a cogliere finché non ho sentito questa sera da lei, don Paolo, questa consonanza col Vangelo. È stata una scoperta molto bella questo collegamento, perché c’è tutta la storia: il viaggio, la prova, gli aiutanti, gli opponenti, eccetera, tutti questi passaggi si studiano, però a volte rimane una cosa astratta, non la si comprende proprio.
Ad esempio, Biancaneve è una fiaba evangelica, Cenerentola è una fiaba evangelica.
Pensate i Sette Nani nel momento in cui Biancaneve diventa donna, per loro, asessuati, lei è morta perché non c’è vita, non c’è futuro, però non la seppelliscono perché è talmente bella che sembra viva, ed era viva in realtà. C’è bisogno di un principe azzurro che arriva, che la prende per mano, e che la unisce a sé.
Pensate quando Gesù entra nella casa di Giairo e tutti dicono: «È morta!», ci sono i pianti (come i Sette Nani che piangevano attorno a questa bara di cristallo) arriva Gesù (il principe azzurro) e dice:
«Ma non è morta, dorme!», la prende per mano e la rialza. C’è una consonanza che è impressionante. Oppure, c’è Cenerentola, il principe si innamora e la cerca. Pensate quando il principe va alla casa del padre di Cenerentola, il padre gli fa vedere le sorellastre, il principe dice:
«Ma, non sono queste, non hai nessun’altra figlia?», e il padre dice: «No, ma su in solaio c’è un’altra mia figlia, Cenerentola, ma sicuramente non è lei, figurati è tutta sporca», il principe insiste: «Fammela vedere», e quando la vede: «Sì, è lei», misura la scarpetta e la sposa.
Questo è Vangelo, a parte che è un brano che è proprio spiaccicato all’episodio dei figli di Jesse, quando Samuele va a cercare il Re e gli dice: «Sono tutti qui i tuoi figli?», e il Re dice. «Sì, ma c’è ancora il più piccolo, ma figurati se è lui!» – «Chiamalo!», e infatti è lui, Davide.
Capite poi che le fiabe siano state in qualche modo ispirate a questi passi biblici non lo sappiamo, però in fondo credo che sia molto evangelico tutto questo. Gesù che fa uscire dalla polvere questa donna che è l’umanità in realtà, l’umanità che si è sempre creduta non amabile; Cenerentola pensa di non essere amabile perché è sporca, perché è impolverata, perché è una sguattera e dice:
«Ma non sarò mai amata da nessuno perché nessuno può amarmi così!», e invece, questo principe che dice: «Io ti amo per quello che sei tu, non per la tua apparenza, non per la tua fuliggine. No, io ti amo per quello che sei, perché tu sei splendida così!», e questo è Vangelo.
Questo è Vangelo, cioè un Dio che ci ama non per quello che abbiamo fatto o che non ci ama per il nostro peccato, per quello che abbiamo fatto, no! Dio ci ama perché figli, e basta! Siamo amabili perché siamo suoi, in qualche modo, ma non per aspetti esterni o morali, no! L’amore non ama per moralità o per adeguatezza, perché è adeguato no! L’amore ama perché ama e basta! Questo è Vangelo, questa è Cenerentola, ma questo è il figliol prodigo, questo è in tutte le grandi parabole evangeliche.
Domanda: sul fatto che Dio non puo’ trasformarci, io penso invece che Dio, che è onnipotente, possa trasformare chiunque; e penso che noi cristiani non siamo solitudine perché siamo immersi nell’abbraccio dell’amore di Dio, quindi uno si può isolare, però nessuno è solo. Il problema è che dobbiamo dedicarci di più agli altri.
Non replico, non c’è nulla da dire.
Vi ringrazio e spero che “Chicercatrova” mi trovi ancora e che possiamo ancora incontrarci.
Grazie
TESTO NON RIVISTO DALL’AUTORE
Fonte – www.chicercatrovaonline.it